26 Febbraio 2011, 11:21
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Il 73% dei ricercatori italiani all’estero di eta’ compresa fra i 25 e i 40 anni non ha alcuna intenzione di ritornare in Italia. Il 27% rientrerebbe soltanto a determinate condizioni: ricongiunzione della carriera acquisita all’estero, maggiori redditi, migliore gestione delle risorse per la ricerca, maggiori rapporti tra università e impresa.
E’ quanto emerge da una ricerca, condotta su un campione di 955 persone, presentata al convegno ‘Academic brain drain: due facce della stessa medaglia’ organizzato all’università di Catania da 13 Lions clubs del distretto 108YB Sicilia. ”L’obiettivo di questa ricerca – ha spiegato il prof. Benedetto Torrisi, ricercatore in Statistica economica – e’ quello di aprire una finestra di informazione su una tematica attuale e di particolare interesse per la Nazione attraverso le relazioni e le testimonianze di addetti ai lavori”.
Il 90% dei ‘cervelli italiani in fuga’ ritiene ”non meritocratico” l’accesso ai finanziamenti per la ricerca in Italia. Il 95,7% dei ricercatori che lascia l’Italia lo fa per opportunita’ di lavoro, le politiche a supporto della ricerca dei Paesi ospitanti e le prospettive di carriera. Su un campione di 3.575 soggetti impegnati in attivita’ di ricerca in Italia, sia strutturati che precari, invece e’ emerso che la maggiore propensione a emigrare e’ legate alle fasce basse di eta’ (40% per la classe di eta’ tra i 25 e i 30 anni).
Tra i motivi che scoraggiano l’emigrazione c’e’ l’attaccamento alla famiglia per l’80% degli intervistati. Cio’ che li incoraggerebbe ad andar via, per l’83%, e’ la maggiore valorizzazione delle proprie competenze, e per il 42% la burocrazia italiana. Solo il 14% ritiene di vivere in un ambiente lavorativo con una alta percezione del benessere organizzativo, a fronte del 90% registrato all’estero.
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26 Febbraio 2011, 11:21