“I conti? Un disastro annunciato | Nuovi tagli o la barca affonda”

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11 Febbraio 2019, 06:02

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Poco meno di due anni fa aveva fatto esplodere il “caso bilancio” nella sede più istituzionale. Nel corso del giudizio di parifica, l’allora procuratore generale della Corte dei conti Pino Zingale aveva, per la prima volta nella storia della Sicilia, chiesto di non approvare i conti della Regione. Nella requisitoria e nelle richieste del magistrato contabile che oggi guida la Corte dei conti in Trentino, i dubbi emersi in tutta la loro gravità negli ultimi giorni, con i tagli sanguinosi ma necessari per “coprire” oltre due miliardi di disavanzo.

Presidente Zingale, non si può dire che lei sia sorpreso dalle recenti difficoltà della Regione nel chiudere il bilancio. In passato aveva denunciato pubblicamente, anche in sede di parifica, questa situazione. Stiamo vivendo un finale annunciato, quindi?

“Direi più che annunciato: tutti dati contabili deponevano nel senso di una situazione ampiamente critica. L’Assemblea Regionale, all’epoca, volle percorrere una strada legittima ma, dal mio punto di vista, improvvida: approvare il rendiconto così come era stato esitato dalle Sezioni Riunite siciliane, paralizzando l’impugnativa innanzi alle Sezioni Riunite romane: la politica prevalse sulla buona amministrazione. Credo che già allora la situazione che stiamo vivendo adesso sarebbe stata acclarata dai giudici e ciò avrebbe consentito di chiudere il rubinetto della spesa un anno prima. Ma è inutile piangere sul latte versato”.

Il governo Musumeci attribuisce la responsabilità di questa situazione alla pesante eredità lasciata dal governo Crocetta. Per l’assessore all’Economia di quel governo, Alessandro Baccei, invece, l’inizio di tutto va cercato in anni ancora precedenti. Secondo lei, dove va ritrovata l’origine di questa condizione dei conti?

“Credo che entrambi abbiano ragione: io adesso svolgo le mie funzioni in una provincia autonoma, il Trentino, con grandi disponibilità economiche ma con un forte senso della cosa pubblica, dove situazioni come quella che stiamo vivendo adesso in Sicilia sono lontane anche solo dal potersi ipotizzare. Come si spiega lei che la Sicilia, destinataria di risorse pubbliche certo non meno ingenti, abbia potuto ridursi in queste condizioni?”.

Qual è la spiegazione?

“La risposta sta nel fatto che la nostra isola è stata per decenni terra di clientele dove la politica più che perseguire il bene comune ha cercato di gratificare il vicino della porta accanto. Ancora qualcuno ricorderà, per fare solo un esempio, che una legge prevedeva che i benefici economici accordati ai dipendenti in servizio si ripercuotevano automaticamente sulle pensioni dei regionali, per non parlare delle baby pensioni: altro che quota cento! Era un conto che prima o poi qualcuno avrebbe dovuto pagare. Per altro verso non mi pare che il governo Crocetta abbia fatto grandi cose per evitare il disastro: e la riprova sta nel fatto che di ciò oggi stiamo discutendo”.

La Corte dei conti però fa risalire buona parte del nuovo disavanzo alla cancellazione dei residui attivi operata dal governo Crocetta. È stata una operazione necessaria secondo lei?

“La cancellazione dei residui attivi è stata un’operazione meritoria del governo Crocetta: ha fatto capire che il re era nudo. La stessa Corte, quando dice che buona parte del disavanzo va imputata alla cancellazione dei residui attivi non intende fare una critica ad un’operazione che essa stessa aveva più volte sollecitato. Intende solo constatare un dato di fatto. Il problema è un altro: perché esisteva una così ingente massa di residui attivi inesigibili (questa è la ragione della loro cancellazione) in bilancio? O meglio, perché ci si era inventata tutta questa mole di crediti inesistenti? La risposta non credo abbia bisogno di particolari spiegazioni”.

Adesso la manovra è ancora ferma all’Ars e si spera in un intervento del governo nazionale che consenta di spalmare in trent’anni la quota di disavanzo al momento ripianata in tre. È questa l’unica strada possibile?

“La strada è quella di ripianare secondo le modalità di legge. Anche con tagli dolorosi ma necessari. Azzerare e tentare di ripartire. Ricordandosi sempre che eventuali soluzioni che io definirei di finanza creativa dovranno, poi, fare i conti con il successivo giudizio di parifica”.

Da anni assistiamo all’accensione di mutui o di anticipazioni di liquidità che costringeranno i siciliani a “ripianare” questi prestiti in trent’anni: esiste secondo lei un problema anche, diciamo, generazionale? Ci saranno sempre meno opportunità per i giovani in Sicilia?

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“La questione dei mutui e delle cosiddette anticipazioni di liquidità che rischiano di tradursi, nei fatti, in ulteriori mutui, è estremamente complessa e delicata. Indubbiamente è un’ipoteca sul futuro, un debito che si lascia alle future generazioni. Già stiamo assistendo ad una migrazione epocale (della quale in pochi parlano) dei giovani siciliani verso altri lidi, in cerca di lavoro. Minori risorse per gli investimenti, per le strutture, per la promozione dello sviluppo, in quanto assorbite dal pagamento dei debiti contratti negli anni, rischiano di precostituire un grosso gap generazionale del quale è difficile immaginare gli effetti”.

La Sicilia nei prossimi anni potrà permettersi quello che si è potuta permettere negli ultimi decenni: dal numero di dipendenti pubblici, da quelli nelle società partecipate, fino alle tante spese che voi magistrati contabili avete spesso messo in luce?

“La Sicilia deve entrare nell’ordine di idee che la spesa va migliorata da un punto di vista qualitativo e che l’età della vacche grasse si è chiusa definitivamente. Mi rendo conto che noi magistrati contabili non siamo la categoria più simpatica alla politica e, tutto sommato, hanno ragione. Sentirsi fare continuamente delle rampogne su sprechi e privilegi distribuiti a destra ed a manca non deve essere propriamente gratificante. Per fortuna, però, qualcosa di quello che diciamo alla fine viene pure perfino ascoltato: si ricorda dei richiami che furono fatti dalla Procura Generale a proposito di un paio di operazioni destinate ad “alleggerire” il patrimonio di Irfis e del Fondo pensioni regionali, per fare cassa per le spese correnti della Regione? Quelle operazioni, dopo i nostri richiami, non ebbero più seguito”.

Oggi di fronte a Palazzo dei Normanni si ritroveranno lavoratori forestali, dell’Esa, dei Consorzi di bonifica, del trasporto locale, insieme a categorie di precari come gli ex Pip. Secondo lei, stando ai conti, cosa dovrebbero dire loro il governo e i deputati regionali?

“Appunto: basta guardare i conti. Lì c’è la risposta”.

Prima di lasciare Palermo, nelle sue requisitorie ha puntato il dito contro tante altre “anomalie” del sistema Sicilia. Lei crede che ci siano ancora dei “bubboni” pronti a scoppiare complicando ulteriormente la questione dei conti?

“Quello è stato per me un periodo molto complicato (per usare un eufemismo) ed il potere affermare che ‘io l’avevo detto’ non mi è affatto di consolazione. Non credo che ci siano altri ‘bubboni’ che potrebbero complicare la vicenda dei conti: quelli che già ci sono e sono stati evidenziati bastano e avanzano. Certo bisogna stare attenti a non costruirne di nuovi”.

Che consiglio si sente di dare al governo regionale? Dove, secondo lei si può ancora intervenire, nell’ingessato bilancio regionale, per reperire risorse utili?

“Io non ho titolo, in atto, per dare consigli al governo regionale, se non come uomo della strada. Posso solo dire che considero il Presidente Musumeci persona estremamente equilibrata che certamente saprà non farsi coinvolgere in operazioni azzardate da un punto di vista finanziario. La spesa regionale è in gran parte ingessata ma bisogna avere il coraggio di tagliare – ovviamente con senno e ponderazione – anche a costo di impopolarità. Non è certo con i cosiddetti tagli lineari che si risolve il problema”.

In passato, ai tempi di Lombardo, si parlò di rischio default per la Sicilia. Lei crede sia una ipotesi che può diventare realtà? E quanto la situazione di oggi è preoccupante in questo senso?

“Due anni fa si diceva che le censure fatte dalla Procura Generale erano pura fantasia: evidentemente così non era ed i fatti lo hanno dimostrato. All’epoca ricordo che io parlai anche di un rischio default. Ebbene, il rischio default è oggi inversamente proporzionale al rigore degli interventi che governo e parlamento regionale decideranno di mettere in campo. Basta poco a fare affondare la nave. Confido che la ragione e la prudenza prevarranno su ogni altro interesse in campo”.

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11 Febbraio 2019, 06:02

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