I gatti di Villa Filippina

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09 Agosto 2010, 10:07

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Questa storia non è per tutti. Possono leggerla solo coloro che sentono come negli animali ci siano evidenti tracce d’amore e di delicatissima umanità. Gli altri, quelli che passano indifferenti e non hanno mai scrutato il mondo negli occhi di un gatto, si accomodino pure.
Sembra una cose folle, all’inizio, l’umanità dei gatti per i ciechi che ne sono lontani e inaridiscono nel pregiudizio. Sono animali, è il mantra che ripetiamo, da stolti. Ma poi entriamo nel labirinto dei loro sguardi, nel dedalo dei gesti. E capiamo tutto.
I gatti di Villa Filippina, prima che la nostra redazione prendesse possesso dei luoghi, erano gli incontrastati dominatori dello spazio di erbacce e topi. Una sconfinata America.  Gli è toccato in sorte e in condominio una colonia di esseri umani e della peggiore specie: i giornalisti. I gatti non conoscono direttamente i giornalisti, però hanno udito qualcosa dai racconti dei vecchi topi di biblioteca. Quanto basta per diffidare, per rizzare le vibrisse. Addirittura, a Palermo, c’è un gatto filosofo capace di citare un pensatore danese il cui nome è difficile da scrivere: “I giornalisti spargono veleno di notte, sulla porta delle persone oneste”.
All’inizio, la convivenza è stata logicamente difficile. Noi di qua, con i nostri computer e con le nostre parole. Loro di là, sotto il porticato vecchio, col loro silenzio. Terribile e commovente è il silenzio dei gatti. Un giorno, un risoluto gattino bianco e nero si è fatto avanti. Uno di noi si è avvicinato con cautela. Per l’approccio è stato scelto un umano “gattaro”, uno che ha i gatti in casa, un volontario che odorasse di antica solidarietà felina. Il gattino ha cominciato ad annusargli la mano. L’esame è stato lungo e accurato. Il gattino in bianco e nero si è dissolto sotto il porticato. Cilecca?  Macchè, l’indomani si sono fatti vivi tutti gli altri. La nostra è una redazione ad alto contenuto di felinità.
Da allora, il nostro lavoro viene pure meglio. Ma questo può capirlo solo chi ha scrutato il mondo negli occhi di un gattino. Viene meglio perché i gatti ci soccorrono quando ci mancano le parole. Con un miagolio suggeriscono l’aggettivo giusto e non sgarrano mai. E sentiamo la loro confortante presenza, perfino nei giorni malinconici solitari di questo spicchio d’estate. Mai vorremmo deluderli. Mai vorremmo scrivere un sostantivo sbagliato. Abbiamo una responsabilità in più. I gatti ci amano. (rp)

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09 Agosto 2010, 10:07

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