05 Maggio 2020, 19:41
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Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Gabriele Carapezza Figlia, docente di diritto privato e direttore del dipartimento di Giurisprudenza della Lumsa di Palermo
Dall’inizio della primavera, gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane hanno conosciuto un incremento, nonostante l’adozione del decreto interministeriale dello scorso 8 aprile, il quale esclude, per il periodo dell’emergenza sanitaria da Covid-19, che i porti italiani possano considerarsi «sicuri» per le navi straniere che abbiano soccorso naufraghi fuori della zona Search and Rescue (SAR) italiana. Al contempo, da più parti si avanzano proposte di regolarizzazione degli stranieri clandestini , con la stipula di un contratto di lavoro a tempo determinato e il relativo rilascio di permessi di soggiorno temporanei. Si tratta di scelte contraddittorie di politica legislativa oppure è possibile rintracciarne un comune fondamento? In realtà, entrambe condividono l’esigenza di applicare, anche nei confronti dei migranti, le misure di contenimento del virus nella maniera più efficace possibile.
Va innanzi tutto ricordato che, secondo l’insegnamento della nostra Corte Costituzionale, «i l potere di disciplinare l’immigrazione rappresenta un profilo essenziale della sovranità dello Stato, in quanto espressione del controllo del territorio». Fuori dai casi dei rifugiati e di coloro che godono del diritto di asilo, lo Stato non ha, dunque, alcun obbligo di consentire agli stranieri l’ingresso nel proprio territorio. Pertanto, al tempo della pandemia che ha indotto il Governo a limitare la libertà di circolazione dei cittadini (art. 16 cost.) come mai era accaduto nella storia della Repubblica, evitare ulteriori arrivi di migranti dalla sponda Sud del Mediterraneo rientra nell’ampia discrezionalità della quale gode il legislatore ordinario, al quale spetta la ponderazione di svariati interessi primari, quali l’ordine pubblico, la sicurezza, la sanità pubblica. Per di più, il decreto esclude che le autorità italiane debbano fornire un porto soltanto quando il soccorso dei migranti sia avvenuto fuori dalla nostra zona SAR e da parte di navi straniere, così da individuare una soluzione ragionevole e proporzionata che evita di mettere ulteriormente sotto pressione il sistema sanitario impegnato nel contrasto al Coronavirus.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che la Protezione civile ha dovuto predisporre apposite strutture, sia sulla terraferma sia in mare, funzionali all’assistenza e alla sorveglianza sanitaria dei migranti comunque giunti sul territorio nazionale. La medesima esigenza di contenere la diffusione del virus è alla base delle proposte di regolarizzazione dei migranti che potrebbero confluire nel decreto di maggio, già denominato “Cura Italia bis”. Sottrarre alla clandestinità gli stranieri che già si trovano nel nostro Paese ne favorisce l’accesso al servizio sanitario e si pone in linea con un consolidato orientamento giurisprudenziale, che ha esteso agli stranieri irregolari il divieto di differenziare il trattamento rispetto ai cittadini quanto al godimento dei diritti fondamentali.
Il Giudice delle leggi, infatti, ha spesso considerato costituzionalmente illegittime disposizioni che introducevano limitazioni generali, automatiche e indiscriminate dei diritti inviolabili degli stranieri non regolarmente soggiornanti, fino a riconoscere loro un «nucleo irriducibile di tutela del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come àmbito inviolabile della dignità umana». L’apparente conflitto tra esigenze della sovranità dello Stato e diritti fondamentali della persona può, quindi, trovare composizione in una nuova concezione di comunità, composta non soltanto da cittadini, ma da tutti coloro che, vivendo stabilmente nel contesto sociale, «ricevono diritti e restituiscono doveri».
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05 Maggio 2020, 19:41