07 Maggio 2016, 20:03
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PALERMO – Ad ogni buon conto, che ci sia qualcosa di vero oppure no, quando un’elezione si avvicina il nome di Roberto Lagalla è il punto fermo di ogni short list di papabili. A tutto. L’ex rettore dell’Università di Palermo è stato accostato a tutte le poltrone possibili e immaginabili, senza poi essere candidato a nulla. Ora, con le amministrative palermitane che si avvicinano e le Regionali non più così lontane, il suo nome torna in quell’elenco. Lui, da sei mesi non più allo Steri, con un nuovo incarico al Cnr nominato dal governo Renzi, non esclude un suo impegno diretto in politica. Ma “in un contesto nuovo”, auspicando una convergenza tra il Pd renziano e i moderati.
Professore Lagalla, come sono stati questi primi sei mesi lontano da Palazzo Steri?
“Certamente c’è stata una sostanziale differenza rispetto agli ultimi nove anni, due d assessore regionale e sette da rettore. C’è stata la necessità di prendere nuove misure e adeguarsi a un nuovo stile di vita. Sono tornato alla mia funzione direzionale della Radiologia del Policlinico e ho potuto riprendere il lavoro di ricerca riscoprendo la bellezza della professione interrotta. Poi c’è l’incarico nel consiglio d’amministrazione del Cnr, coerente con l’attività svolta negli ultimi sette anni”.
Come vede il rettorato ora che ne è fuori?
“Premesso che sono stato un convinto sostenitore dell’attuale rettore, gli esiti delle recenti elezioni del cda dell’Università di Palermo confermano una volontà di continuità. Due dei quattro consiglieri eletti erano già stati con me nel cda, un altro era stato con me in Senato accademico, e l’altro, il professor Midiri, è il mio allievo e primo collega in radiologia. C’è una continuità e apprezzamento per l’esperienza, ovviamente con la logica evoluzione che consegue all’insediamento di un nuovo rettore”.
E alla politica si sta riavvicinando?
“Non mi sono mai né avvicinato né allontanato. Premesso che non sono mai stato iscritto a nessun partito, la mia formazione giovanile è stata democristiana, nel solco di quel centro democratico dove sono sempre rimasto, assistendo alla costante ginnastica della politica attorno a questo centro. In Italia la maggioranza dell’elettorato ha voglia di governi moderati e della tradizione sociale e socialdemocratica”.
Una voglia che Renzi soddisfa?
“Questa è la grande intuizione di Renzi: avere avvicinato il perimetro del Pd al centro dello scenario politico dove è auspicabile l’avvicinamento di partiti centristi di area moderata che appaiono distanti. Da parte mia mi limito a essere un osservatore di questo processo”.
Ma nello scenario che lei descrive, questi “moderati” dovrebbero essere partner o competitor di Renzi?
“Io penso che una componente centrista presente in una coalizione rassicuri gli elettori e legittimi il partito di maggioranza relativa. Soprattutto in un momento in cui il centrodestra mostra una lacerazione abbastanza evidente. Per quanto mi riguarda reputo pericolosa la prevalenza di idee ‘salviniane’ nel centrodestra, le sento troppo lontane dalla cultura solidaristica e sociale”.
Fin qui lei ha fatto riferimento a uno scenario nazionale. E del quadro politico siciliano cosa pensa?
“Sa, quando c’è un’elezione alle porte vengo sempre tirato in ballo come possibile candidato. Non sono in questo momento candidato a nulla. Penso che in Sicilia occorra lavorare per recuperare dal basso una qualche fiducia nell’attività di governo. Perché trovo che ci sia un distacco marcato tra la politica e la società civile. La politica è troppo chiusa in un potere partitico e non aperto ai grandi temi dell’innovazione. Questo dibattito va promosso dal basso, dall’opinione pubblica”.
E senza girarci troppo attorno, lei si candiderebbe?
“Ovviamente l’ipotesi di un impegno diretto che può essere gratificante deve trovare condizioni e momenti di aggregazione reale. Certamente non escludo di potere dare un contributo a un ragionamento politico a condizione che sia nuovo e basato su ipotesi di lavoro concrete”.
Cioè?
“Cioè che si affrontino i grandi temi. L’occupazione giovanile, la spesa produttiva, la valorizzazione delle risorse territoriali. Bisogna fermare quest’emorragia di giovani che vanno ad arricchire territori lontani dalla Sicilia. E affrontare diversamente la politica dell’immigrazione, perché non sia di mera assistenza ma di integrazione vera, nella prospettiva di una società multietnica e di un modello di integrazione euromediterraneo”.
E lei vede delle figure che ritiene in grado di portare avanti questo genere di politiche?
“Il rinnovamento della classe politica passa per tante occasioni. Una delle quali è il prossimo referendum, a cui Renzi attribuisce molta importanza”.
Non ho capito bene i nomi…
“No, non faccio nomi. Penso che su cinque milioni di cittadini ce ne possano essere tanti, anche poco conosciuti, che possano incarnare un nuovo modo di fare politica”.
E la città di Palermo, visto che anche per la corsa a sindaco il suo nome è fra i papabili, come la vede?
“La vedo certamente con grandi difficoltà e anche qualche realizzazione. Porta con sé tutti i mali di questa regione, la crisi della politica e dell’economia. Certamente Orlando è protagonista della scena e non so quanto questo elemento possa lasciare spazio a operazioni diverse nelle prossime elezioni comunali. Sulle quali a tutt’oggi prevale il silenzio”.
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07 Maggio 2016, 20:03