17 Dicembre 2020, 06:21
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Il primo settembre scorso, 108 giorni fa, 18 pescatori partiti da Mazara del Vallo sono stati fermati nelle acque davanti alla Libia. Accusati di pescare illegalmente, pare secondo ogni criterio di diritto, sono reclusi da allora nel Paese nordafricano piombato nel caos dopo i pasticci scatenati dall’occidente che hanno accompagnato e seguito la caduta di Gheddafi. Da allora, i familiari di questi pescatori hanno sentito i loro cari una volta al telefono. Non ne hanno notizie da settimane. Un processo a loro carico non è ancora cominciato. Sarebbero detenuti a Bengasi e trattati bene, a quanto si apprende. Ma la loro situazione, più di cento giorni dopo quel primo di settembre, resta avvolta nell’incertezza. La Farnesina segue gli sviluppi della vicenda, sui contatti in corso c’è un comprensibile riserbo, ma al momento non è dato di sapere se una soluzione si avvicini e se queste persone potranno tornare a casa per Natale. Il fatto che si trovino nelle mani delle forze militari che si contrappongono al proclamato governo libico e che contendono a questo la sovranità complica le cose.
Si tratta di una situazione inaccettabile per l’Italia. Ogni giorno che passa, il dramma degli equipaggi dei due pescherecci diventa sempre più inaccettabile, sempre più uno sfregio all’Italia, alla sua sovranità, alla sua reputazione internazionale. E soprattutto alle famiglie di quegli sventurati e all’impresa i cui pescherecci sono bloccati in Libia.
Provate a immaginare per un attimo a come sarebbe stata affrontata una questione simile ai tempi della vituperata prima repubblica, quando l’Italia nello scacchiere internazionale aveva il ruolo che aveva, muovendosi con destrezza tra l’America e il mondo arabo, anche al costo di alzare la voce in modo clamoroso, come a Sigonella. Sarebbero passati così cento giorni allora? Impossibile dirlo. Era un altro mondo, un altro Nordafrica, un’altra Italia. Quello che è certo è che da 108 giorni delle persone partite dal nostro Paese per lavorare sono recluse come malfattori. E che tutti gli appelli, dal Papa a scendere, per la loro liberazione sono caduti nel vuoto. Ha fatto abbastanza il nostro governo? Speriamo che il meglio lo abbia fatto sotto traccia, perché quello che si vede è poca cosa.
Sarà un Natale con poca poca gioia per tutti, travolti come siamo dalla pandemia, dalle restrizioni e dalla paura. Vorremmo poter desiderare almeno un regalo, almeno una fiammella di speranza. Di vedere tornare a casa dai loro cari quelle diciotto persone. Per questo, ogni mattina, conteremo da quanti giorni i loro cari li attendono. Fino a quando avremo qualcosa da festeggiare.
Aggiornamento 17 dicembre
I pescatori sono liberi. L’incubo è finito. E’ il più bel regalo di Natale.
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17 Dicembre 2020, 06:21