23 Maggio 2018, 12:48
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PALERMO – Undici volti campeggiano sul manifesto che cattura la linea prospettiva dell’aula bunker. Sono i volti di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e Paolo Borsellino. I volti degli “angeli delle scorte”: Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina, Agostino Catalano, Walter Cosima. A loro, ai ragazzi che proteggevano i giudici e ne condivisero il triste destino, è dedicata la ventiseiesima giornata della memoria per non dimenticare le stragi di Capaci e via D’Amelio.
Nella struttura che ospitò il maxi processo alla mafia si rinnova l’appuntamento voluto da Maria Falcone, sorella del magistrato, in stretta collaborazione con il ministero dell’Istruzione. Il ministro Valeria Fedeli è giunta a Palermo a bordo della nave della legalità assieme a centinaia di ragazzi partiti da Civitavecchia. “Non erano eroi, gli agenti delle scorte, ma ragazzi e ragazzi che – il capo della polizia, Franco Gabrielli, centra il cuore della questione – amavano la vita, volevamo vivere”. Erano i primi a credere nel lavoro di Falcone e Borsellino. “Avevamo messo il cuore nelle mani di loro – racconta Antonino Vullo, uno dei sopravvissuti – convinti che ci avrebbero liberato dal male. Un giorno accadrà”.
È il giorno della memoria, ma anche della convinzione e della speranza. La convinzione che la mafia, lo dice il procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho, nella sua ala stragista è stata sconfitta, ma la politica deve tenere le lotte alle mafie al centro del dibattito politico. “Recidere il rapporto fra mafia e politica è il primo passo, altrimenti non sconfiggeremo la mafia”, dice il ministro dell’Interno Marco Minniti. E poi c’è la speranza che arrivino nuovi risultati importanti. “Matteo Messina Denaro? Lo prenderemo”, dice Gabrielli.
Non c’è speranza più grande. Ma non basta per chiudere la partita. “Seguire i soldi”, ripeteva Falcone. In un mondo globalizzato le mafie hanno spostato gli interessi in ogni parte del mondo. E qui il ministro della giustizia Andrea Orlando innesta un tema politico, in un momento in cui si parla molto di sovranismo con una prospettiva critica verso l’Unione europea. “Senza l’Europa non esisterebbe la frontiera per contenere le mafie”, spiega Orlando.
Ci credevano i ragazzi delle scorte. C’è un’immagine simbolo nel bunker ed è la divisa che indossa Emanule Schifani, figlio di Vito, divenuto finanziere. Ha scelto di lavorare a Napoli nel reparto di pronto intervento. Quello che si occupa anche di scorte. Tina Montinaro non parla mai di suoi marito al passato “perché vive con me ogni giorno”. Emilia Catalano aggiunge che “non si può dire non è successo e metterlo da parte”, ma sapendo che “fare il poliziotto era la sua vita” si può provare a cercare consolazione.
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23 Maggio 2018, 12:48