I rapporti tra imprese e politica |Serve una legge sulle lobby

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22 Maggio 2017, 18:48

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PALERMO – Quando una legge votata dal Parlamento sovrano diventa nell’ipotesi di una procura il corpo del reato di un’indagine per corruzione, appare fin troppo evidente la necessità di dotarsi di una normativa chiara sul rapporto tra lobby e politica. L’indagine palermitana che ruota attorno a Ettore Morace e che vede coinvolti politici di primo piano come la dimissionaria Simona Vicari e il presidente della Regione Rosario Crocetta suggerisce questa riflessione. Il tema è scivoloso e certo insidioso ma la scelta di non affrontarlo apre a scenari di caos che sarebbe opportuno scongiurare.

Negli ultimi anni, una politica sempre più debole e sempre meno autorevole ha accolto una serie di istanze che hanno partorito novità normative in tema di reati contro la pubblica amministrazione. Novità con cui nei fatti le procure si sono dovute confrontare. E così oggi non c’è più bisogno della mazzetta, del conto alle Cayman, della busta gonfia di banconote per individuare profili penali. Se n’è accorto sulla sua pelle il funzionario regionale arrestato venerdì per una storia di presunta corruzione il cui prezzo, nell’ipotesi dei magistrati, si sarebbe concretizzato in un paio di cortesie di cui non ha beneficiato neanche lo stesso funzionario ma suoi conoscenti. È l’inedita figura del presunto corrotto dal cuore d’oro uno degli aspetti forse degni di nota dell’inchiesta. Che si concentra sui contatti tra imprese, politica e burocrazia. Un terreno scosceso nel quale non è sempre facile capire dove finisce il lecito, e per certi versi persino naturale, confronto e dove comincia la cointeressenza o il guasto.

Nella stagione penalistica dei “reati fisarmonica” come il traffico di influenze e affini, che si possono stringere o allargare fino a farvi entrare un po’ di tutto, questo confine si fa sempre più labile e paradossalmente le migliori intenzioni del legislatore possono finire persino per complicare la vita degli inquirenti alle prese con scenari in cui tutto o quasi può finire per essere letto, a seconda delle angolazioni, come un potenziale reato quando di mezzo c’è denaro pubblico. Il problema esiste e chi si interfaccia spesso con la pubblica amministrazione lo sa bene. Tanto più in una Sicilia dove tutto è un contributo, e spesso si parla di somme a molti zeri non certo di piccoli stanziamenti.

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In un contesto economico di questo tipo, che gruppi di pressione anche leciti cerchino e trovino una interlocuzione con i centri decisionali diventa inevitabile e persino fisiologico. Accade a ogni livello e per una molteplicità di lobby di ogni sorta. Ed è anche in questo reticolo, ovviamente, che s’annida il rischio della corruzione. O anche solo del malgoverno.

Una normativa chiara e trasparente sulle lobby potrebbe offrire un sentiero alla luce del sole per questo fenomeno, riducendo le zone grigie e agevolando lo stesso lavoro della magistratura. Altrove lo si fa, in Italia se ne parla, una volta ogni tanto, e basta. Sarebbe bene agire. Sforzandosi anche di rammentare che il “lobbista” non necessariamente porta giacca e cravatta e che per un politico probabilmente un cospicuo pacchetto di voti di disperati portato in dote da qualche capopopolo è regalo assai più gradito di un Rolex d’acciaio fatto comprare con lo sconto da un armatore.

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22 Maggio 2017, 18:48

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