Cronaca

I rischi, la sentenza e le speranze: ‘in sella’ assieme ai rider

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25 Novembre 2020, 06:10

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PALERMO – Sempre di fretta in moto o in bici, il borsone termico sulle spalle, abbigliamento a prova di intemperie: ormai la figura del rider è parte della nostra quotidianità, ma non sempre conosciamo la loro. Quello del food delivery è un settore trasversale che abbraccia figli che cercano di pagarsi gli studi, padri alle prese con le bollette ma anche nonni in età da pensione. Generazioni diverse ma tutte accomunate da una base di precariato, che i sindacati nazionali e siciliani cercano di sovvertire ormai da mesi. Nei giorni scorsi proprio in Sicilia è stato aperto un nuovo spiraglio, con una sentenza di assunzione definita “storica”, ma il comparto presenta ancora molte lacune che contrastano col numero di lavoratori in crescita.

Il rider assunto a tempo pieno

La nuova conquista è legata al nome di Marco Tuttolomondo, 49enne al servizio della nota azienda spagnola Glovo: dopo aver partecipato a una trasmissione televisiva in cui aveva denunciato le difficoltà del settore, il rider era stato disconnesso dalla piattaforma usata dall’azienda per coordinare le consegne. Così Tuttolomondo era passato alle contromisure e si era rivolto alla Cgil Palermo, che attraverso la Nidil, la categoria dei lavoratori atipici, aveva sostenuto la sua battaglia.

Dopo una proposta di conciliazione risalente alla fine di ottobre, recentemente il giudice del lavoro ha emesso la sentenza definitiva: per Tuttolomondo è stato disposto il reintegro con un contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato, con uno stipendio orario e non più a cottimo. La sigla sindacale osserva che è la prima volta che un tribunale italiano riconosce questo rapporto di lavoro a un rider.

La radiografia del settore

Una storia che il sindacato si augura possa fare da apripista per l’intero sistema, sempre più vasto e articolato. Il segretario Nidil Cgil Palermo, Andrea Gattuso, fotografa un comparto “in forte crescita da quando è scoppiata la pandemia, perché chiaramente le restrizioni hanno penalizzato i ristoranti e sempre più persone optano per il domicilio. In pratica il food delivery vive una fase economica anticiclica perché fa profitto mentre l’economia generale va male”. Aumenta il numero dei rider, ma anche delle aziende: “In tutto parliamo di circa cinquecento rider in tutta la provincia palermitana – spiega Gattuso –. A Palermo le società più numerose sono Socialfood e Glovo, seguite da Deliveroo e Uber Eats, ma stanno nascendo anche nuove piattaforme più piccole per servire i centri più periferici”.

È molto più complicato, se non impossibile, stabilire il profilo del rider tipo. “Probabilmente non ce n’è uno – commenta il segretario – perché in realtà si ha a che fare con categorie di persone molto diverse fra loro. A partire da chi lo fa per vivere come Marco Tuttolomondo, passando per chi lo fa come secondo lavoro, fino ai giovanissimi che studiano e i pensionati over 60. Mentre al Nord i rider sono soprattutto ragazzi immigrati, in cerca di un primo lavoretto per iniziare a guadagnare nel nuovo paese, al Sud e in Sicilia questo diventa un lavoro a tutti gli effetti”.

Perché sia così, però, è necessario rinunciare a una vita sociale. Quanto ai guadagni, Gattuso spiega che “si va dal rider saltuario che arriva a 3-400 euro mensili, per arrivare a chi lo fa in maniera professionale che sfiora sì i duemila euro, ma lavora sette giorni su sette per dieci ore al giorno”. Poi precisa che “si parla di cifre lorde, da cui vanno pagati l’Irpef e l’Inps per chi ha una partita Iva, e poi i costi della benzina sempre e comunque”.

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La battaglia sindacale

Quest’ultimo punto fa parte della lunga lista di quello che non va. “Non c’è nessuna garanzia – taglia corto il sindacalista –. A partire dal fatto che il lavoratore non può mai interfacciarsi con nessuno perché il ‘padrone’ è digitale, etereo, ma è così anche il resto: tutto è regolato da un algoritmo che di volta in volta decide quanti ordini puoi portare avanti e consegnare, all’insegna della totale incertezza e precarietà. Il tutto pagandoti da solo la benzina che consumi”.

L’algoritmo e la digitalizzazione sono nodi cruciali della battaglia dei rider: “Nemmeno sappiamo chiaramente come funziona – ammette Andrea Gattuso – perché le piattaforme non l’hanno mai voluto spiegare. Solitamente si basa su un ranking in base al quale si accede a un certo numero di ore lavorative disponibili. Ma come si scala il ranking? Lavorando. In pratica il punteggio è dato da quanto lavori e dalle recensioni dei clienti, quindi non è vero che si può lavorare quando e quanto si vuole. Inoltre l’app geolocalizza costantemente e obbligatoriamente tutti i rider, sa davvero sempre tutto. Non c’è nessuna discrezionalità, nessuna vera autonomia lavorativa”.

“Non ci dovrebbe essere nessuna differenza”

Per questo il pensiero di Marco Tuttolomondo va ai colleghi ancora nel limbo. “Non ci dovrebbe essere nessuna differenza tra lo stipendio e l’inquadramento contrattuale di chi lavora al computer in ufficio e chi fa le consegne a domicilio”, dice il neo assunto, un passato da istruttore di vela e windsurf ma anche da insegnante di inglese, da responsabile di un negozio in Spagna e da autista a Londra. “Perché il fattorino, che è svantaggiato perché lavora sotto la pioggia e il vento, deve essere trattato male rispetto a chi lavora in ufficio? Noi mangiamo sulla moto, mentre chi sta in ufficio a ora di pranzo dispone di una comoda mensa, andiamo in bagno dove capita, quando piove ci accolliamo il rischio di attraversare una città piena di buche. L’anno scorso ho fatto un turno di dieci ore sotto la pioggia e sono tornato a casa con le mutande inzuppate”.

Una vita lavorativa su due ruote e senza tutele è tutt’altro che facile. Lo conferma Simone Cecchini, 44 anni, che fa principalmente il rider ma è anche operatore sanitario. Non ha famiglia né figli e vive insieme a un’amica che lo ospita. “Lavoro più o meno sei o sette ore al giorno, tutti i giorni – dice – tranne uno a settimana che mi prendo libero perché bisogna anche vivere. Ma nonostante lavori molto, dei miei guadagni non mi resta praticamente niente da mettere da parte: devo pagare il garage, fondamentale per il mezzo così come la manutenzione e la benzina, ma anche il vestiario per l’inverno da affrontare. L’azienda non ci fornisce niente, all’inizio della pandemia non ci dava neanche le mascherine”.

Cecchini rileva che col tempo qualcosa è addirittura peggiorato: “Per esempio il ‘bonus pioggia’ ora è più basso rispetto a mesi fa. Questo lavoro comporta tanti rischi – conclude – perché siamo sempre in strada, in strade colabrodo come quelle palermitane, respirando ogni giorno tonnellate di smog e senza tutele se facciamo incidenti”.

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25 Novembre 2020, 06:10

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