Cronaca

I segreti del killer di Lizzio: il pentito sentito da più procure

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27 Luglio 2021, 06:26

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“Uno dei collaboratori di maggiore spessore che sia stato mai trattato dalla Dda di Catania”. Queste le parole che usa il pm Rocco Liguori, quando apre la sua lunghissima requisitoria del processo Thor (su 23 omicidi di mafia), per descrivere la forza delle rivelazioni di Francesco Squillaci, il figlio del boss catanese Pippo ‘Martiddina’ di Piano Tavola e killer del poliziotto Gianni Lizzio. Oggi, per la cronaca, è il 29esimo anniversario dell’omicidio dell’ispettore della Squadra Mobile di Catania. 

Le verità di un pentito

Ma torniamo a Squillaci, che da quando nel 20 aprile 2018 è entrato nel programma di protezione, è stato sentito da moltissime procure siciliane. E non solo. Nel suo bagaglio di “uomo d’onore” di Cosa nostra ha conoscenze di molte dinamiche criminali, anche del passato stragista. Ultimamente infatti la procura di Caltanissetta ha voluto sentirlo. 

Il boss ha deciso di vuotare il sacco con la magistratura dopo 25 anni di detenzione. Non ha guardato in faccia nessuno: ha puntato il dito contro suo padre Pippo Squillaci, il fratello Nicolò, i cognati Carmelo Venia e Nino Sambataro. Inoltre ha confessato moltissimi omicidi, per 11 è stato già condannato. Squillaci entra nella mafia nel 1988 come affiliato del gruppo Martiddina di Piano Tavola inserito nel clan Santapaola-Ercolano. Prima ha “favorito la latitanza di Giuseppe Pulvirenti, boss pentito ormai defunto, e poi ha “affiancato il padre nella reggenza del gruppo occupandosi delle estorsioni in danno di commercianti e imprenditori”. 

Il battesimo di Squillaci

Squillaci racconta di essere diventato uomo d’onore nel 1994 per volere di Aldo Ercolano (figlio di Pippo) nel corso di una cerimonia in cui presenziarono molti vertici. A Ciccio Martiddina “venne data la responsabilità – ha spiegato Liguori nella requisitoria al gup – della zona di Piano Tavola. E inoltre era stato incaricato del compito di eliminare tutti coloro che facevano capo al clan del Malpassotu Giuseppe Pulvirenti, il quale doveva essere messo da parte perché aveva fatto un’alleanza con i palermitani che da tempo cercavano di scalzare la famiglia Santapaola in favore del clan Mazzei o comunque cercavano di piazzare uomini propri su Catania, anche perché erano in assoluto disaccordo – ha aggiunto il pm – ed erano scontenti dell’alleanza con i Santapaola non avendo questi seguito i corleonesi nella strategia stragista. Essendosi limitati a un solo omicidio eccellente, quello dell’ispettore Lizzio, che fu ucciso proprio da Francesco Squillaci”. 

I segreti di 50 omicidi di mafia

Il pentito “ha riferito in maniera dettagliata – ha argomentato il sostituto procuratore della Dda etnea – su oltre cinquanta omicidi, specificando gli autori, i mandanti, i moventi e le fasi esecutive dell’omicidio e ha ricostruito così circa venti anni di storia mafiosa della provincia catanese”.

I contatti tra Cosa nostra e le istituzioni

Squillaci conosce segreti che potrebbero riaprire inchieste rimaste nel limbo come “nel caso del duplice omicidio degli imprenditori Vecchio – Rovetta” (acciaierie Megara). Ha riferito qualcosa sul delitto del confidente Luigi Ilardo, la cui storia è rimasta chiusa a metà: sono stati condannati i mafiosi responsabili, ma nulla su quei “mandanti occulti” che avrebbero dato una “accelerazione al suo omicidio” prima che diventasse collaboratore di giustizia. Forse le rivelazioni di Martiddina hanno aperto nuove piste mai battute. 

Ma ha svelato anche “fatti di primaria importanza per la storia di Cosa nostra siciliana. Ha riferito sull’omicidio del Generale Dalla Chiesa, della strategia stragista di Cosa nostra, sui contatti istituzionali di Cosa nostra”. 

Squillaci entra a gamba tesa nella zona grigia che collega il “sistema deviato” istituzionale. Ed è qui che oltre la mafia tremano i palazzi di giustizia. Ha parlato di “servitori dello Stato,  Magistrati, forze dell’ordine, avvocati, tutti quanti a favorire cosa nostra”. 

La guerra di mafia

Il pentito ha affidato a pagine e pagine di verbali le sue conoscenze sulle “più importanti guerre di mafia, sulle scissioni interne, sui progetti di costituzioni di nuove famiglie mafiose e sulle più importanti strategie di Cosa nostra”. Avrebbe conosciuto i piani del capofamiglia dell’epoca Nitto Santapaola, del vice Aldo Ercolano e del rappresentante provinciale Salvatore Santapaola. 

Il pentimento di Francesco Squillaci è stato devastante per la famiglia catanese di Cosa nostra. Ma potrebbe esserlo anche per quell’angolo oscuro e deviato delle istituzioni.

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27 Luglio 2021, 06:26

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