“I suoi affari sono in odore di mafia” |Sequestro da 25 milioni all’ex vicepresidente Ance

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05 Agosto 2014, 07:00

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TRAPANI – Il vicepresidente regionale dell’Ance Sicilia, Pietro Funaro, è stato colpito questa mattina da un sequestro di beni, in un’operazione antimafia condotta dalla polizia e dalla guardia di finanza. All’imprenditore trapanese, originario di Santa Ninfa, su disposizione della sezione misure di Prevenzione del Tribunale di Trapani, poliziotti e finanzieri stanno sequestrando beni per un valore di 25 milioni di euro. Si tratta di proprietà intestate anche al padre, Domenico Funaro. Proprietà e società con sede nel trapanese, a Campobello di Mazara, Santa Ninfa, Alcamo, Castellammare del Golfo, e nel catanese, a Santa Venerina. Il Tribunale di Trapani ha accolto la richiesta avanzata dal questore di Trapani, Carmine Esposito, a conclusione di indagini condotte dal gruppo composto da polizia e fiamme Gialle che nel tempo hanno condotto diverse inchieste sui possedimenti “in odor di mafia”.

Il sequestro riguarda 3 beni immobili, 38 beni mobili (autovetture, furgoni, mezzi meccanici), 11 imprese (capitali sociali e pertinenti complessi aziendali), 22 partecipazioni in altre società, tra le quali le quote sequestrate quelle possedute da Pietro Funaro all’interno della società editrice dell’emittente televisiva Telesud 3 di Trapani, e infine 82 tra conti correnti e rapporti bancari di altra natura, per un valore complessivo, stimato, di circa 25 milioni di euro.

Politica, mafia e appalti è il filone sul quale continuano le maggiori indagini antimafia nel trapanese. Il sequestro di beni contro Funaro, esponente di punta dell’Ance, il sindacato degli imprenditori edili di Confindustria, associazione della quale è stato di recente presidente provinciale a Trapani e da un anno vicepresidente regionale (AGGIORNAMENTO: è stato sospeso da Confindustria e si è dimesso dall’incarico tre mesi fa), conferma, a sentire gli investigatori e a leggere la pronuncia dei giudici che hanno disposto il sequestro preventivo delle aziende, la vocazione imprenditoriale di Cosa Nostra e il suo perdurante potere ben più esteso del territorio provinciale trapanese, distribuito, piuttosto, in gran parte del territorio regionale. Per mantenerlo, i boss avrebbero costituito una rete imprenditoriale per il condizionamento illecito della fase di aggiudicazione della gestione dei lavori e delle forniture concernenti la realizzazione di opere pubbliche appaltate. Nel tempo contro Domenico e Pietro Funaro, padre e figlio, magistrati e investigatori hanno raccolto diversi elementi indiziari, anche tratti da intercettazioni ambientali, non ultime poi le dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia.

Vincenzo Sinacori, capo del mandamento mafioso di Mazara del Vallo e divenuto collaboratore di giustizia, ha parlato dei rapporti intrattenuti da Domenico Funaro con l’imprenditore edile Michele Accomando, condannato per avere fatto parte della famiglia mafiosa di Mazara del Vallo.
L’indagine trapanese della Squadra Mobile, divisa in più tranche, denominata Mafia e Appalti evidenziò i rapporti dei Funaro con il cosidetto regista degli appalti della provincia, Tommaso “Masino” Coppola e con il “cassiere” della mafia trapanese Nino Birrittella, tutti e due referenti del capo della cupola Ciccio Pace (tutti condannati). Secondo Birrittella tutte le attività di turbativa d’asta, falso e corruzione, relative al controllo occulto sugli appalti, venivano condotte, tra gli altri, da Domenico e Pietro Funaro, attribuendo a loro un ruolo centrale nel condizionamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti sul territorio trapanese. Una rete illegale che in un caso specifico, i lavori condotti all’interno dell’aeroporto militare di Trapani Birgi, avrebbe visto i Funaro “associarsi” con altri imprenditori come Vincenzo Mannina e Vito Tarantolo: un appalto aggiudicato nel 2002 per la realizzazione di opere per un importo a base d’asta di oltre 13 milioni di euro.

Il nome di Funaro venne fuori anche nel contesto delle indagini sulla costruzione della galleria Scindo Passo di Favignana, i cui lavori, sin dall’inizio, risultarono condizionati da Cosa nostra. A carico dei Funaro anche la condotta ritenuta dai giudici “ostruzionistica” nei confronti della Calcestruzzi Ericina, che dopo la confisca (apparteneva al capo del mandamento Vincenzo Virga) subì un clamoroso calo nelle commesse e in ultimo fu oggetto di un tentativo della mafia trapanese per riappropriarsi dell’impianto.
Secondo il rapporto di polizia e finanza i due Funaro sarebbero stati legati in particolare all’imprenditore Vito Tarantolo, “nella piena consapevolezza del ruolo assunto in esse dal Tarantolo attraverso la interposizione fittizia di prestanome (come nel caso della Elimi Costruzioni srl).

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05 Agosto 2014, 07:00

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