09 Ottobre 2012, 12:01
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In Italia soltanto 16 anni addietro (legge sulla privacy), ma in altri paesi del mondo anche molto prima, il legislatore ha voluto dare dignità di legge al diritto di riservatezza inerente ai dati personali dei cittadini. Certamente questa legge importante si è trascinata dietro anche ridicole storture. Penso al medico che ha chiesto al marito di uscire quando doveva visitare la moglie nel rispetto della privacy; ma la cosa incredibile era che la moglie desiderava che il marito fosse presente alla consultazione. Penso ancora ai numeri sul citofono nel portone di ingresso che se non si ricorda il riferimento numerico, dato dall’amico per citofonare, bisogna chiamarlo al telefono e farselo ricordare. Penso a tutte le cartelle cliniche in cui non vi è più scritto il nome del paziente ma soltanto un riferimento numerico; purtroppo già nel passato i pazienti venivano spesso identificati con il numero del letto, figuriamoci adesso che neanche la cartella, nel frontespizio, ne riporta il nome (ricordo, peraltro, che la cartella clinica è un documento riservato cui possono accedere soltanto gli addetti ai lavori).
Ma non è di questo che vorrei parlare, bensì degli anti-privacy per eccellenza: i telefonini. Nel 1990 come un fulmine a ciel sereno (almeno per noi comuni utenti-consumatori), in coincidenza con i Mondiali di calcio “italiani”, arrivarono i telefonini. All’inizio sembrava dovessero essere uno strumento utile per quelle persone che hanno bisogno di essere rintracciate anche in luoghi dove non vi sono telefoni fissi (ad esempio i medici). Nessuno poteva invece immaginare che, in soli 20 anni o poco più, questo topolino tascabile avrebbe stravolto usi, costumi, abitudini, comportamenti di tutti gli abitanti del pianeta e principalmente ne avrebbe abolito in toto la vera privacy.
Certamente oggi il cellulare non è più soltanto un telefono ma è uno strumento che permette di avere una visione autocentrica del mondo. Attraverso questo piccolo, insostituibile oggetto posso fare quasi tutto: inviare e ricevere messaggi, avere tramite internet tutte le informazioni possibili su tutti gli argomenti possibili, posso ascoltare musica, vedere luoghi lontani, scattare una foto (ed inviarla), fare una videoripresa, registrare la voce, trastullarmi con un numero infinito di giochi per bambini e per adulti che sono rimasti bambini, vivere nell’agorà globale dei social network. I cellulari sono divenuti indispensabili. Pensate, ad esempio, a come ci si sente quando si esce da casa e, dopo qualche minuto, ci si accorge che si è dimenticato il cellulare. La sensazione è come se si fossero dimenticati (tutti insieme) il portafoglio, le chiavi, gli slip e, per chi li porta, anche gli occhiali; ma con una sensazione di angoscia addirittura maggiore.
Sono talmente indispensabili che si tengono accesi dappertutto: dal medico, dal commercialista, quando si va ad un colloquio di lavoro, a teatro e incredibilmente anche in Chiesa. Certamente i cellulari sono utilissimi in tantissime situazioni. Pensiamo alla mamma che ha un adolescente che esce con il motorino, a due amici che si danno un appuntamento e non si trovino, alla necessità di chiamare un soccorso urgente, alla possibile, come detto, necessità di comunicare (o di acquisire) una notizia in tempo reale, alla possibilità di lavorare “by phone” (vedi anche mail e collegamento ad internet attraverso il cellulare) mentre si è in viaggio o comunque quando si è lontani dal posto di lavoro e chi più ne ha più ne metta. Ma in quante occasioni, al contrario, l’utilizzazione del telefonino è espressione di grande maleducazione, è fuor di luogo e superflua oltreché dispendiosa ed a volte anche ridicola.
Innanzitutto, spessissimo l’interlocutore mentre parla de visu con te utilizza contemporaneamente il telefonino (manda messaggi, controlla o rilegge vecchi messaggi, porta avanti un “giochino, legge le mail, ecc.) cosa non esattamente educatissima. Prerogativa assoluta, di questo attaccamento simbiotico al telefonino, è degli adolescenti che, in ogni occasione, anche al cinema, allo stadio, a scuola durante le lezioni hanno gli occhi, e purtroppo spesso anche la loro attenzione, rivolta verso il cellulare. Mi auguro, per loro, che da questa lista rimangano esclusi almeno i momenti di “intimità”. Per contrappasso a quanto detto, come era bello prima dell’“era telefonino” potere ritrovarsi tra adolescenti come tra adulti o tra persone anziane e passare ore indisturbati a scambiarsi confidenze, sogni, speranze, progetti, supportando la semiologia delle parole con gli sguardi, le espressioni, le smorfie le pacche sulle spalle. Ricordo paradigmatico di questo meraviglioso “diverso ritrovarsi” tra gli umani era il classico “incontro in treno”. Fino a “prima dei telefonini” capitava spessissimo, durante i lunghi viaggi in treno, di raccontare tutta la propria vita ad un estraneo, casuale compagno di viaggio. Questi colloqui franchi e sinceri e non gravati da sovrastrutture (si aveva infatti la certezza che quella persona non la si sarebbe mai più rivista) avevano, secondo me, anche una grande utilità per, ogni tanto, provare a “leggersi dentro”. Oggi in treno è praticamente impossibile scambiare soltanto due chiacchiere con il passeggero che ti sta di fronte perché o lo stesso sta parlando al telefonino o certamente è concentratissimo sul proprio computer portatile o sul proprio iPad.
Ma ritornando al nostro telefonino, a chi non è capitato di andare a prendere qualcuno a casa, trovarsi sotto lo stabile e anche in una bella giornata di sole non scendere e citofonare, ma chiamarlo con il cellulare? Scagli la prima pietra chi non ha peccato!
Di fatto, come troppo spesso accade nel tempo che viviamo, il telefonino ha creato una serie infinita di falsi bisogni. Già, la possibilità di essere sempre rintracciabili, se non rintracciati, ha creato un senso di continua angoscia di “doverci essere”. Infatti il telefonino è personale e nel caso in cui non si volesse parlare con la persona che ha chiamato, rifiutare la chiamata è un atto di ineducazione assolutamente imputabile soltanto al titolare del cellulare chiamato. E poi il dramma di prendere la decisione: “Lo tengo acceso o lo tengo spento”. Spesso capita di lasciarlo acceso quando lo si dovrebbe spegnere (ad esempio a me è capitato di averlo dimenticato acceso quando stavo parlando ad un Congresso davanti a 300 colleghi) e di dimenticarlo spento quando si attende una telefonata importante, cui si tiene in modo particolare.
Vogliamo ancora parlare di come il telefonino ha giocato, dalla sua comparsa, un ruolo devastante nella incidenza di nuove separazioni. Se fino a prima del fatidico 1990 chi decideva di tradire il partner con la cosiddetta scappatella, nella gran parte dei casi giustificava con la più disparata delle scuse l’impossibilità di essere rintracciato per 3-4 ore (ad esempio dicendo di essere a cena con un gruppo di vecchi compagni di scuola) e quasi sempre gli andava bene, oggi (come magistralmente rappresentato da un recente film di Carlo Verdone) tutto è diventato incommensurabilmente più difficile e quindi più rischioso, per il ruolo determinante che giocano i terribili “rumori di fondo”. Perché infatti è difficile per il partner che è rimasto a casa immaginare il marito o la moglie a cena fuori e non sentire il più piccolo rumore di camerieri che prendono ordinazioni o più semplicemente il brusio del chiacchiericcio di tutti i ristoranti del mondo. Vi sono anche, peraltro, cellulari che possono essere localizzati dal partner in qualunque momento. Per non parlare della lettura dei messaggi più o meno segreti che un partner si scambia con il/la diletto/a amante.
Peraltro con il telefonino spento vengono memorizzate tutte le telefonate ricevute e, quando lo si riaccende, le stesse compaiono in rapida sequenza. Quante volte vi è capitato di rispondere al telefonino, dopo che lo avevate tenuto spento per un certo periodo di tempo e sentirvi dire da un amico (badiamo bene non dalla moglie ma da un amico): “Ti ho chiamato ma non hai risposto, perché?” e dovere quindi con questo amico giustificare perché in occasione della sua chiamata il cellulare fosse spento. Inoltre bisogna convivere con la classica domanda di ingresso: “Dove sei?” cui verrebbe spontaneo rispondere: “E perché dovrei dirtelo?”. Non parliamo poi dei videotelefoni; con questi non soltanto puoi e devi sempre essere rintracciato ma sei anche costretto a far sapere dove sei e magari con chi. Quindi, di fatto, oggi il telefonino è uno strumento perverso che azzera la privacy, quella vera non quella dei “dati sensibili” , quella che ti permetteva di andare a comprare un regalo ad una persona cara, fuori porta, senza dirglielo ma dicendo questa volta una piccola innocente bugia. La considerazione, purtroppo non credo lontana dal vero, è che nel mondo di oggi, dove ognuno di noi si sente sempre più disperatamente solo e male riesce ad intessere veri rapporti con i suoi simili, il telefonino è una compagnia che ci dà la sensazione di “essere insieme” riuscendo quindi forse ad appannare un po’ questa gravosissima solitudine.
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09 Ottobre 2012, 12:01