Siino e Ferone su Ciancio: |"Ercolano arrivò in redazione" - Live Sicilia

Siino e Ferone su Ciancio: |”Ercolano arrivò in redazione”

La Commissione Antimafia pubblica in un dossier sull'informazione, i verbali dei collaboratori che parlano di Mario Ciancio (nella foto) utilizzati nelle rogatorie internazionali per sequestrare i suoi conti correnti. L'editore, imputato di concorso esterno, si è detto sempre estraneo ad ogni coinvolgimento. TUTTI I PARTICOLARI.

I verbali inediti
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CATANIA- Verbali, visure societarie, conti correnti, la Commissione Antimafia ha analizzato i presunti affari con la mafia dell’editore Mario Ciancio, imputato di concorso esterno, e ha pubblicato i risultati nel dossier sulla libertà d’informazione. Una libertà che in Sicilia sarebbe stata inquinata dal condizionamento mafioso in alcuni episodi svelati dagli inquirenti catanesi guidati dal procuratore Giovanni Salvi: Antonino Fanara, Agata Santonocito e Carmelo Zuccaro.

Relatore del documento è stato Claudio Fava.

PARLANO I MAGISTRATI- La Direzione distrettuale antimafia di Catania, nella rogatoria presentata alle auotirà elvetiche il 20 ottobre del 2014, mentre indagava sui conti correnti all’estero di Mario Ciancio, ha scritto che “Le fonti probatorie raccolte in questo procedimento permettono di sostenere che Ciancio ha avuto, nel tempo, rapporti, a colte commerciali e a volte di diversa natura, con persone legate a cosa nostra”.

La Commissione Antimafia sottolinea, sulla base dei documenti della magistratura inquirente catanese, “essere stato socio negli anni ’80 della famiglia RAPPA di Palermo per la gestione delle prime televisioni locali, le cui frequenze poi cedeva alla società Fininvest di Silvio Berlusconi; i Rappa sono imprenditori di Palermo, il cui capostipite è stato condannato per essere capo della famiglia mafiosa di Borghetto, mentre i figli – accusati di avere partecipato al “tavolino” di Siino Angelo – sono stati assolti per insufficienza di prove”. E ancora, Ciancio sarebbe “stato socio e, comunque, in rapporti commerciali con i cosiddetti cavalieri del lavoro di Catania, ed in particolare con i Costanzo”, si è interessato alla realizzazione del centro commerciale Icom, divenendo socio di “Giovanni Vizzini, fratello di Carlo, quest’ultimo senatore in parlamento; la figlia di Giovanni Vizzini, Maria Sole, è sposata con Vincenzo Rappa del 1973”. Ciancio, aggiunge la Dda, p stato socio di Tommaso Mercadante, nipote di Tommaso Cannella (boss di cosa nostra di Palermo) e figlio di Giovanni Mercadante (primario di ospedale, onorevole regionale e recentemente condannato in via definitiva a sei anni di reclusione per concorso esterno in associazione di stampo mafioso)”.

I VERBALI DI FERONE L’Antimafia pubblica i verbali del collaboratore Ferone: “Ancora nel periodo in cui ero vicino a Giuseppe Calderone [alla fine degli anni ’70] ero a conoscenza del fatto che i più importanti imprenditori di Catania avevano dei rapporti diretti con la nostra organizzazione criminale. nel senso che -oltre a pagare all’associazione mafiosa somme di denaro in relazione ai lavori pubblici o privati in misura del 5% dell’importo dell’appalto -avevano interessi reciproci. [ … ] A dr: di questo gruppo di imprenditori vicino all’associazione faceva parte anche l’editore del giornale La Sicilia che si chiama Ciancio Sanfilippo. Ricordo che la nostra associazione era interessata ad ottenere che la linea editoriale di questo quotidiano fosse in alcune occasioni modificata a favore dell’associazione”.

I VERBALI DI ANGELO SIINO. Agli atti anche i verbali di Angelo Siino, ministro dei lavori pubblici di cosa nostra, parla dell’arrivo del boss Ercolano nella redazione de La Sicilia. “Pippo Ercolano entrò in redazione -racconta il collaboratore- mostrando di ben conoscere i luoghi, gridando che voleva parlare con i due giornalisti autori dell’articolo. In redazione, alla presenza di altre persone, Pippo Ercolano gridava e i due giornalisti cercavano di giustificarsi. Io – su mandato di Aldo Ercolano – cercai di tranquillizzare Pippo Ercolano, riuscendovi dopo non pochi sforzi. Questo episodio determinò la reazione di esponenti di vertice del gruppo Santapaola. […] Tra le lamentele che venivano fatte quando fui chiamato a riferire sul comportamento dell’ Ercolano, ricordo che i vertici dell’associazione ai quali rispondevo, lamentavano – tra l’altro -che era inconcepibile che l’Ercolano avesse fatto quella scenata assolutamente in contrasto con le attenzioni” che loro riservavano al Ciancio Sanfilippo”.

La Guardia di Finanza ha trasmesso alla Procura gli articoli de La Sicilia in cui si sottolineava, in evidenza, “nessuna pressione sul nostro giornale”. La direzione “respinge indignata le illazioni”, ma conferma la visita del boss: “Il signor Giuseppe Ercolano è venuto al giornale, ricevuto dal direttore e dal capocronista, lamentando che in occasione della pubblicazione di un articolo, ove venivano citate una ventina di ditte denunziate per la violazione della legge antinquinamento, solo accanto al suo nome era stata fatta la specifica ‘noto boss mafioso’. Il signor Giuseppe Ercolano ha fatto presente in tale occasione di essere regolarmente titolare della ditta Avimec con centinaia di dipendenti e che in momento era un libero cittadino. Direttore e capocronista hanno spiegato che la notizia e il particolare che lo riguardava – come confermato dal cronista che si era occupato del servizio – erano stati fatti dai carabinieri. In tale occasione il signor Ercolano non ha esercitato pressioni di alcun genere”.

GLI ALTRI EPISODI La Commissione antimafia ha tenuto conto anche della pubblicazione della lettera del boss Enzo Santapaola direttamente dal 41 bis, la mancata pubblicazione del necrologio di Beppe Montana e il caso Telecolor.

IL CASO AVOLA “Un altro episodio particolare fu quello che riguardò l’inizio della collaborazione di Maurizio Avola” ha ricostruito Valter Rizzo durante la sua audizione. “Maurizio Avola è stato uno dei più importanti collaboratori di giustizia catanesi, uno di quelli che hanno permesso di istruire il maxiprocesso e anche il processo per l’assassinio di Giuseppe Fava. Proprio all’inizio della collaborazione apparve una serie di articoli su La Sicilia e su Il Giorno, che miravano palesemente a screditare la credibilità di questo collaboratore di giustizia”.

La Sicilia scrive infatti che Avola si è autoaccusato di essere «il killer di dalla Chiesa e di Fava», ma all’epoca del primo delitto in realtà “Avola aveva appena ventuno anni e, dunque, non sarebbe credibile”. L’articolo de La Sicilia fu smentito la mattina dopo dal sostituto procuratore Amedeo Bertone della DDA di Catania: “Si sta cercando di fare passare Avola come infiltrato della mafia […]. Quello descritto sui giornali è un quadro assolutamente confuso. Ci sono notizie completamente false che vengono attribuite ad Avola”. Analogo allarme anche del sostituto Mario Amato che affermerà, senza giri di parole: “Si tratta di un’ operazione studiata a tavolino per far passare la tesi che i pentiti sono dei pazzi, dei mitomani, e in quanto tali inattendibili”.

 


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