23 Febbraio 2011, 12:52
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Sono passate quasi due settimane da venerdì 11 febbraio, il giorno in cui Noureddine Adnane si è dato fuoco. Veniva dal Marocco, aveva 27 anni. Da dieci viveva a Palermo, con regolare permesso di soggiorno e licenza di ambulante per il suo carretto pieno di giocattoli, occhiali e sciarpe. Dopo un controllo dei vigili, che volevano sequestrargli la marce, Noureddine si è cosparso di benzina, ha preso l’accendino e si è dato fuoco, sotto gli occhi increduli degli agenti e dei passanti. E’ morto dopo giorni di agonia. Ieri Livesicilia ha ricevuto la segnalazione di un testimone presente quel giorno, che descrive lo sgomento dei vigili in quel momento quasi e la loro impotenza di fronte quella torcia umana che correva chiedendo aiuto. Livesicilia ha chiesto al comandante dei vigili urbani di Palermo Serefino Di Peri quale sia la sua versione dei fatti.
Comandante, un testimone ha raccontato a Livesicilia che i vigili – sotto choc – non sarebbero intervenuti prontamente per aiutare il ragazzo, che correva disperato avvolto dalle fiamme cercando aiuto. Le risulta? Come replica?
“Non è vero, assolutamente. E a testimoniare il fatto che i colleghi siano intervenuti ci sono le ustioni di primo grado alla mano destra riportate da uno degli agenti, che ha tentato di aiutare Noureddine. Io ho letto la relazione, ho sentito i racconti, ho letto le testimonianze riportate sui giornali. So per certo che uno dei due vigili ha inseguito il ragazzo per aiutarlo. Poi è chiaro che un atto del genere lasci sotto choc chiunque assista”.
State svolgendo delle indagini interne? Avete preso provvedimenti contro i vigili presenti quel giorno?
“Abbiamo stilato delle relazioni, ma saranno i carabinieri e l’autorità giudiziaria a portare avanti le indagini. Quello che spero è che le immagini delle telecamere di via Basile, di cui si è parlato in questi giorni, possano fare luce su quanto accaduto, per ristabilire la verità. Sono state dette tante cose non vere, si è creato un clima persecutorio nei nostri confronti”.
Che clima si respira per adesso all’interno del corpo di polizia municipale, anche alla luce dell’incendio dell’auto di pattuglia di sabato notte?
“Non c’è paura, ma il clima non è tranquillo. Abbiamo incontrato gli esponenti della comunità marocchina, sono pieni di dolore e tristezza, ma non c’è rancore verso di noi. Il rancore, semmai, arriva da chi vuole strumentalizzare la vicenda per altri motivi. Infatti sono felice che le telecamere di Palazzo delle Aquile abbiano appurato che i due ragazzi che hanno incendiato l’auto di pattuglia sabato scorso fossero italiani e non extracomunitari. E’ la dimostrazione del fatto che tra noi e gli stranieri non c’è nessun clima di odio”.
La Fp Cgil ha dichiarato nei giorni scorsi che all’interno della polizia municipale ci sarebbero soggetti – definiti “Bruce Lee” – che usano metodi vessatori nei confronti degli ambulanti extracomunitari. Metodi non condivisi dagli altri vigili. In più ci sarebbero state parecchie testimonianze di ambulanti che confermano l’esistenza di un clima persecutorio nei confronti degli extracomunitari e anche dello stesso Noureddine, nei giorni precedenti al suo gesto. Lei come replica?
“Io invito la Fp Cgil – che è un sindacato serio e che conta all’interno del corpo di polizia municipale numerosi iscritti – a fare nomi e cognomi, se sanno qualcosa. Questo sarebbe utile ai fini delle indagini. Sono state dette cose non vere, ma si sa che in queste situazioni gli speculatori ci sono sempre, chi vuole guadagnarsi qualche riga sui giornali. Gli avvoltoi volano basso, si sa”.
Quindi a lei non risulta ci siano soggetti che abusano della propria situazione di forza nei confronti dei venditori ambulanti?
“No, assolutamente. Non alimentiamo chiacchiere. Tra l’altro non è mai la stessa pattuglia che effettua i sequestri delle merci, cambia sempre. La maggior parte dei miei colleghi ha più di 20 anni di esperienza alle spalle ed è la prima volta che succede una cosa del genere, un ragazzo che si dà fuoco in segno di protesta. Si tratta di casi isolati, fortunatamente. Oltretutto non capisco il senso della testimonianza del cugino di Noureddine, che non era nemmeno presente al momento dell’accaduto. Quando siamo andati in ospedale a fare visita al giovane il padre e il fratello ci hanno abbracciati piangendo, non ci ritengono colpevoli”.
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23 Febbraio 2011, 12:52