I viticoltori hanno detto no al clan |”Etna paradiso dove investire”

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09 Maggio 2015, 18:01

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CATANIA – Non si sono fatti piegare dai tentativi di intimidazione. Anzi. Hanno denunciato immediatamente ai carabinieri. A parlare sono Giuseppe Mannino e Giovanni Valenti, due dei cinque imprenditori vitivinicoli che sono finiti nel “ciclone mediatico” relativo agli arresti di una banda di estortori del clan Brunetto. “E’ passato un messaggio errato – spiegano – qualche organo di stampa ha scritto che i produttori non hanno collaborato. Non è così, perchè di fatto è stato proprio grazie alla denuncia se le forze dell’ordine hanno catturato queste persone”. Le due aziende, Cantine Valenti e Tenuta Mannino di Plachi, nel 2013 sono stati nel mirino del gruppo criminale, ma ogni episodio è stato prontamente segnalato alle forze dell’ordine. “Abbiamo preso – chiariscono Mannino e Valenti – quello che ci hanno portato e lo abbiamo portato ai carabinieri. Ci sono verbali che lo dimostrano. Abbiamo denunciato immediatamente. Noi – ribadiscono – abbiamo fatto la nostra parte”.

Il modus operandi per cercare di intimidire gli imprenditori era il consueto. Un biglietto d’avvertimento, qualche danneggiamento alle viti, o una bottiglia “in odor di benzina” lasciata davanti ai cancelli. Mannino e Valenti hanno scoperto chi erano i mittenti dei “messaggi minatori” solo quando hanno letto i giornali. “Io non potevo sapere chi erano – spiega Giuseppe Mannino – perchè non si sono mai materializzati, da noi hanno lasciato una bottiglia appesa al cancello. I nostri operai hanno trovato questa bottiglia con all’interno un biglietto con scritto “cercati l’amico”. Poi hanno tagliato alcuni filari di viti e alcuni aberi di ulivo”.

Episodi, tutti, denunciati alle forze dell’ordine. Precisazione che ribadisce anche Giovanni Valenti nel racconto di quanto è successo invece nella sua azienda: “Mi hanno messo la bottiglia vicino alla guardiola, io non l’ho nemmeno toccata e ho fatto venire direttamente i carabinieri. Dopo hanno cercato di avvelenarmi i cani: seconda denuncia. Mi hanno ucciso un cane: terza denuncia. Poi siamo andati in campagna e abbiamo scoperto che ci avevano tagliato le vigne. Arrivano i carabinieri e fanno mille fotografie. Poi mi fanno la croce con i legni, ma non mi hanno mai – chiarisce – contattato direttamente”.

Giuseppe Mannino, oltre a parlare come titolare della Tenuta, è la voce delle 70 aziende del Consorzio Tutela Vini Etna Doc di cui è presidente. “Io vorrei far scendere un velo pietosissimo – afferma con fermezza – su tutta questa vicenda perchè l’Etna non è quella che è apparsa sui giornali. L’Etna è un posto dove c’è un sacco di gente che lavora e che ha fatto il suo dovere andando a denunciare queste persone, immediatamente”.

Una denuncia che ha portato giustizia. “Il lato positivo di questa vicenda – evidenzia Mannino – è che queste persone  sono in galera e questo deve fare capire alla gente che denunciando si ottiene il risultato. E quindi serva da incoraggiamento alla denuncia, perchè chi subisce intimidazoni, ma anche al di fuori dell’Etna, dica quello che sa e metta nelle condizioni le forze dell’ordine di operare”.

Però quanto riportati su alcuni giornali ha provocato un effetto boomerang negativo. “Sentendo queste notizie gli imprenditori hanno paura a investire. Si chiedono che faccio realizzo e poi mi danneggiano?- affermano i due viticoltori. Per questo “è necessario ripristinare la verità su quanto è accatuto”. La verità. Un concetto che il presidente del Consorzio ripete allo spasimo nel corso di tutta l’intervista. “Si è trattato di casi isolati e nessuno ha pagato”. Su 70 soci del consorzio sono cinque le aziende prese di mira. Ma se vogliamo fare un conto totale sull’Etna operano 130 aziende.”Io a Castiglione ci sono dal 1998 e non mi era mai successo niente” – spiega ancora Mannino.

“L’Etna è un paradiso, un luogo dove si fa un ottimo vino. Noi attraverso le regole che ci siamo posti per la vinificazione – afferma il presidente del Consorzio – abbiamo creato le condizioni affinchè altri da fuori potessero investire. E investire significa creare lavoro stabile. Il fatto che le più grosse cantine siano venute sull’Etna, e hanno speso milioni di euro, è perchè hanno creduto in questo territorio”.

Le verità di questa storia per il presidente sono due: “Primo: tutti gli attori di questa vicenda, aziende, carabinieri e magistratura, hanno fatto la loro parte e secondo- chiosa Mannino: L’Etna resta uno dei posti più belli dove investire”.

 

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09 Maggio 2015, 18:01

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