14 Febbraio 2014, 06:04
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CATANIA – Cinquanta udienze, centinaia di intercettazioni telefoniche ma anche i racconti di numerosi collaboratori di giustizia. E’ questo il fulcro della maratona processuale che stanno affrontando i Sostituti Procuratori Agata Santonocito e Antonino Fanara nell’ambito del processo ordinario scaturito dall’indagine “Iblis” del novembre 2010. Al centro delle accuse della Procura di Catania è finita quella che, riprendendo Sciascia, è stata definita una “borghesia parassitaria”. Non solo boss e soldati sparsi per Catania e provincia ma anche e soprattutto imprenditori e politici. Due livelli della mafia che storicamente si intersecano alla perfezione tra di loro. Da un lato i reggenti operativi impegnati nel controllo dei quartieri e dall’altro il secondo livello, considerato il vero cuore economico della famiglia mafiosa dei Santapaola-Ercolano. Particolare attenzione è stata riservata al ruolo di Enzo Aiello, capo provinciale di Cosa Nostra, impegnato per i Pm proprio nel settore di politica e affari legati ai grandi appalti. A focalizzarsi sulla figura di Aiello durante il dibattimento è stato anche il pentito Santo La Causa che lo definì come l’unico adatto all’interno della “famiglia” a rapportarsi con le imprese dell’intera provincia.
Tra gli affari principali su cui gli uomini del Ros hanno riposto le loro attenzioni e di cui sono emersi i dettagli lungo il processo ci sono l’affare dell’eolico e i collegamenti con il suo Re trapanese Vito Nicastri (non imputato in questo procedimento), l’espansione di Eurospin Sicilia, la costruzione di un complesso di villette a schiera a Ramacca (CT), la realizzazione di un villaggio per l’esercito americano nei pressi di Sigonella e soprattutto l’affare del polo commerciale in contrada “Tenutella” nel Comune di Misterbianco. Un business a sei zeri che secondo l’accusa fece sedere attorno lo stesso tavolo mafiosi, imprenditori e politici. Da quelli del comune etneo oggetto delle attenzioni di Francesco Marsiglione boss degli Ercolano, fino agli scranni dell’Ars, il parlamento siciliano, dove, secondo l’accusa, l’ex deputato regionale Giovanni Cristaudo (assolto in primo grado nel rito abbreviato, attualmente imputato in appello) avrebbe operato sul piano normativo. Un ruolo centrale l’avrebbe avuto anche Pippo Ercolano. L’uomo ormai deceduto, dopo la scarcerazione avvenuta nel 2004 riprese la sua “carriera dirigenziale” all’interno della famiglia mafiosa. Un ruolo che lo portò ad uno scontro aperto con la fazione capeggiata da Alfio Mirabile, gambizzato nel 2004 e poi deceduto. A fronteggiarsi non c’erano solo boss di primo piano ma anche i colletti bianchi che l’accusa ritiene strettamente collegati ai primi. Rosario Ragusa (condannato in primo grado nell’abbreviato) e Giovanni D’Urso su tutti avrebbero avuto la meglio sull’IRA Costruzioni, storica azienda appartenuta al Cavaliere Graci e poi rilevata da alcuni imprenditori di La Spezia.
Durante la requisitoria ad emergere è stato anche il nome dell’editore e imprenditore catanese Mario Ciancio Sanfilippo. Quest’ultimo “stava sviluppando un progetto – ha spiegato il Pm Fanara – per creare un centro commerciale in contrada Cardinale proprio di fronte la Tenutella”. Un mega affare con cui secondo gli inquirenti si cercò di contrastare il centro commerciale Tenutella. A seguirlo per Ciancio doveva essere Paolo Marussig già finito nella rete della giustizia per la realizzazione di un centro commerciale a Villabate in provincia di Palermo. Condannato in primo grado a 7 anni per corruzione aggravata dall’aver favorito la mafia, l’uomo venne accusato di aver pagato una prima trance di una maxi tangente da 25mila euro all’amministrazione di Villabate tramite Tommaso Campanella, boss oggi pentito che diventò “celebre” per aver falsificato le carte d’identità di Bernardo Provenzano. Tuttavia nel 2010 cadde l’aggravante mafiosa e Marussig venne assolto per avvenuta prescrizione.
Nell’indagine “Iblis” sotto la lente d’ingrandimento è finita anche l’area calatina di Ramacca e Palagonia. Messe apposto e sub-appalti che sarebbero stati gestiti con la supervisione della mafia. Un ruolo chiave lo avrebbero avuto il boss Rosario Di Dio insieme all’altro imputato Pasquale Oliva e con il cognato di quest’ultimo Giuseppe Tomasello, docente d’informatica ma soprattutto ex assessore e consigliere comunale a Ramacca.
Durante il dibattimento a rivelare i dettagli di affari e alleanze sono stati i collaboratori di giustizia palermitani Gaspare Pulizzi, Angelo Siino e Giovanni Brusca, il catanese Umberto Di Fazio, Maurizio Di Gati, in passato responsabile provinciale di Cosa Nostra agrigentina, i boss della famiglia Santapaola Ignazio Barbagallo, i nipoti di Antonino Santapaola, Paolo e Giuseppe Mirabile e su tutti l’ex reggente operativo Santo La Causa. Solo per quest’ultimo vennero dedicate quattro udienze per svelare i dettagli degli affari all’ombra dell’Etna. Proprio La Causa è uno dei grandi accusatori di Vincenzo Santapaola, figlio dell’ergastolano Nitto, e ritenuto dagli inquirenti il vero successore del padre a partire dal 2005. Durante le fasi della requisitoria si è tornato a parlare anche della missiva che l’uomo “tramite i suoi avvocati” fece pubblicare sul quotidiano di Catania “La Sicilia” nel 2008 quando era detenuto al regime del 41bis. Un tentativo di allontanarsi dall’ambiente mafioso secondo l’autore, un messaggio tra le righe con precisi destinatari invece secondo i Pm.
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14 Febbraio 2014, 06:04