Iblis, maxi-confisca a Rosario Di Dio | Nel mirino l’impero del boss di Palagonia

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21 Luglio 2014, 12:35

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Rosario Di Dio ripreso dalle telecamere dei militari

CATANIA. Maxi confisca a carico del boss Rosario di Dio: il valore dei beni che comprendono 49 beni immobili, 11 disponibilità finanziarie, 10 mezzi, 4 aziende e 1 quota di partecipazione societaria, è pari a circa 12,5 milioni di euro. Ecco il resoconto fornito dai militari:

I Carabinieri del Ros e quelli del Comando Provinciale di Catania hanno dato esecuzione ad un provvedimento di confisca dei beni emesso dal Tribunale di Catania (Sezione Misure di Prevenzione) nei confronti di Rosario Di Dio, tratto in arresto dal Ros nell’ambito dell’indagine Iblis il 3 novembre del 2010 e condannato in primo grado il 9 maggio scorso a 20 anni di reclusione poiché ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa ed altro, quale organizzatore della famiglia di Cosa Nostra di Ramacca.

Il provvedimento, che è stato richiesto dalla Procura Distrettuale della Repubblica di Catania e si fonda sulla scia investigativa provenienti dalle attività condotte dal Ros e sorretto dagli esiti dell’indagine Iblis, svolta dalla Sezione Anticrimine di Catania sulle famiglie di Catania, Ramacca e Caltagirone, che ha permesso di raccogliere decisivi elementi probatori sull’evoluzione di Cosa Nostra.

Parallelamente alle attività avviate per appurare l’operatività criminale di Vincenzo Aiello, il Ros ha proceduto dalla fine del 2006 al monitoraggio di Rosario Di Dio al fine di approfondire un segmento investigativo emerso nel corso dell’indagine Dionisio, riguardante l’interesse manifestato da questo ultimo per assumere la leadership di Cosa Nostra nell’area controllata dalla famiglia di Ramacca. Di Dio, infatti, personaggio dai blasonati trascorsi delinquenziali, per quanto acquisito nel corso dell’indagine Dionisio, nell’estate del 2003, appena scarcerato, avrebbe chiesto di conferire con Francesco La Rocca al fine di essere autorizzato a camminare, per conto dell’organizzazione criminale, nel territorio di Palagonia; una richiesta, così come evidenziato grazie alla citata indagine, avanzata da Di Dio anche ad Alfio Mirabile, allora reggente della famiglia di Catania.

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Dopo circa due anni, a conferma del fatto che i progetti di Di Dio avevano dato gli esiti sperati, si è avuta contezza del ruolo da questi assunto nell’hinterland calatino; in una conversazione intercettata il 3 Giugno 2005, infatti, Franco Ilardi inteso “chiuviddu”, imprenditore ramacchese intraneo a cosa nostra, aggiornava Alfio Mirabile di quanto stava accadendo in quel territorio e, in particolare, si soffermava sull’atteggiamento espansionistico di Rosario Di Dio e Tommaso Somma (cognato del noto Pietro Rampulla) i quali, tornati in libertà, manifestavano le stesse ambizioni circa il ruolo mafioso da assumere nel territorio di competenza.

Gli argomenti trattati dai due interlocutori avevano un unico filo comune: l’ambiguo atteggiamento di Francesco La Rocca che, secondo Tommaso Somma, aveva dato l’autorizzazione richiesta a Rosario Di Dio; Somma, infatti, secondo quanto riferito da Ilardi, criticava La Rocca proprio in relazione all’autorizzazione che questi aveva dato a Di Dio e manifestava l’intenzione di chiarire, una volta per tutte, la questione leadership con Di Dio. Su queste basi nasceva l’indagine IBLIS che, sin dai primi passi, consentiva di esaminare le diverse vicende documentate dalle posizioni, sempre più distanti nel tempo, assunte da Di Dio e Aiello, permettendo al ROS di meglio monitorare le dinamiche di cosa nostra catanese. Da queste indagini, infatti, è emerso che Di Dio è elemento di vertice della famiglia di Cosa Nostra di Ramacca e, in tale veste, manteneva qualificati e riservati contatti con esponenti apicali delle altre famiglie mafiose del catanese, funzionali alla definizione delle attività illecite da commettere e delle strategie da adottare per la gestione e la riorganizzazione di Cosa Nostra in ambito provinciale.

Nelle prime fasi dell’indagine IBLIS è stato documentato che Di Dio, in stretta connessione con l’allora rappresentante provinciale Vincenzo Aiello ed altro affiliato mafioso di rango, si adoperava per la messa a posto dei lavori effettuati a Palagonia dall’imprenditore gelese Angelo Brunetti che era impegnato nella relativa metanizzazione e nella realizzazione della via di fuga (arteria stradale che funge da circonvallazione); anche per queste due attività estorsive Di Dio è stato riconosciuto colpevole in concorso con Aiello e Franco Costanzo (esponente di spicco della articolazione di cosa nostra operativa a Palagonia, condannato nel settembre del 2012, nel troncone del processo IBLIS celebrato con rito abbreviato, a 20 anni di reclusione poiché ritenuto responsabile di partecipazione ad associazione mafiosa ed altro).

Grazie alle attività d’indagine svolte è anche emerso il rapporto esistente tra Di Dio ed alcuni politici locali che, all’epoca, ricoprivano importanti cariche in ambito provinciale e regionale; un rapporto, che era sempre funzionale alla realizzazione di dinamiche associative di largo respiro, veniva in particolare documentato con Fausto Fagone e Antonino Sangiorgi, esponenti politici palagonesi, all’epoca rispettivamente deputato alla Assemblea Regionale Siciliana e consigliere alla Provincia di Catania, ritenuti referenti politici di Cosa Nostra e, pertanto, condannati il primo a 12 anni di reclusione ed il secondo a 10 anni in quanto concorrenti alla associazione mafiosa in parola.

 

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21 Luglio 2014, 12:35

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