29 Marzo 2024, 05:02
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CATANIA – “La Sicilia ha gravi colpe per i ritardi accumulati nella realizzazione della rete per curare l’ictus e ci sono molte aree in cui gli abitanti non possono raggiungere in tempo le poche strutture esistenti”. Sono le parole del neurologo Antonino Pavone, primario emerito del Garibaldi di Catania e fondatore, nel 2003, della Mediterranean Neuroscience Association, che interviene dopo l’allarme lanciato dall’ultimo rapporto dell’Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas). Secondo l’agenzia, infatti, in Sicilia c’è un “eccesso di mortalità” di ictus per inefficienze del sistema sanitario.
Professore, l’Agenas ha diramato dati allarmanti sulla mortalità per ictus in Sicilia, cosa ne pensa?
“I dati dell’Agenas sono oggettivi perché derivano dalle dimissioni e dai certificati di morte, non sono opinabili. Ritengo che la Sicilia abbia delle gravi colpe per i ritardi accumulati nella realizzazione delle cosiddette aree silenti-assistenziali per lo stroke”.
Che vuol dire?
“Per un paziente affetto da ictus, cioè in cui sono comparsi dei sintomi che hanno coinvolto l’occhio, la bocca, il braccio e la gamba, con un deficit della forza e della coordinazione, bisogna approntare un percorso terapeutico assistenziale accelerando al massimo, con percorsi veloci, perché dalla velocità dipende l’efficacia dell’assistenza”.
Esattamente, l’Agenas dice che “la mortalità a trenta giorni è ancora troppo alta“
“Bisogna considerare che la mortalità è legata alle fasce d’età e all’estensione dell’ictus, che è inversamente proporzionale, molto spesso, alla velocità con cui si interviene, perché se un ictus è conseguenza di una ischemia, ovvero un vaso che si è chiuso, la causa è un trombo o un embolo.
Da quel momento scatta il conto alla rovescia?
“Più passa il tempo, maggiore è la lunghezza del trombo, per la coda del coagulo. Prima si interviene con i farmaci che sciolgono il coagulo, cioè la trombolisi, prima c’è la possibilità di una efficacia terapeutica”.
Proprio l’Agenas dice che in Sicilia bisogna potenziare la trombolisi
“Per poternziarla il paziente deve arrivare in una struttura dotata di stroke unit entro le quattro ore e mezza dalla comparsa dei sintomi. Per le persone che sono vicine a questi centri è possibile la trombolisi. Ma per i paesi lontani dagli ospedali è difficilissimo che vi sia un’organizzazione perfetta per far arrivare il paziente in ospedale e intervenire”.
In Sicilia come stanno le cose?
“Ci sono molte aree, geograficamente estese, in cui non c’è la possibilità di un’azione terapeutica efficace per lo stroke. Mancano delle stroke units uniformemente distribuite nel territorio e manca anche il personale, neurologi e neuroradiologi”.
Cosa comporta la carenza di personale?
“Non ci sono neurologi a sufficienza per la copertura contemplata nei piani per l’assistenza dello stroke in cui è prevista la guardia attiva. Una paziente mi ha detto che dopo la risonanza fatta in un grande ospedale siciliano, ha dovuto attendere il giorno successivo per la risposta perché non c’erano neuroradiologi”.
Si dice che non ci siano neurologi che vogliono venire a lavorare in Sicilia, è vero?
“Non ci sono perché non vogliono aumentare le piante organiche per assicurare una guardia attiva 24 ore su 24 e invece fanno concorsi a tempo determinato. Bisogna coprire i posti vacanti con le mobilità interregionali”.
E il piano di contenimento della spesa?
“Allora chi di dovere dica che non è possibile garantire, così come richiesto dalla legge, l’assistenza sul territorio per la carenza dei fondi. E poi, bisogna agevolare le aree disagiate. I pazienti con stroke esistono anche nelle aree interne”.
Esiste un modello virtuoso?
“Bisogna garantire percorsi diretti per far andare i pazienti nelle sale per lo stroke, come ho avuto modo di vedere ad Amsterdam. Una programmazione reale per l’adeguamento ai livelli europei, in Sicilia, non c’è”.
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29 Marzo 2024, 05:02