11 Ottobre 2012, 12:09
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Essendo cacciatore, mi fisso non solo con i colori e la varietà della fauna, ma anche con i suoi comportamenti. E registro una perdita, un’involuzione mimetizzata da evoluzione.
Una cosa, noi bestiole di Palermo, ci tenevamo stretta: la lentezza.
Eravamo lenti nel fare. Lenti nel decidere. Lenti nel verbalizzare anche le idee urgenti. Lenti nell’illustrare l’impronunciabile, a gesti (lentissimi).
Lenti nella furia: una zampata, qui da noi, prendeva la rincorsa prima di fendere l’aria. Palermo, tanto per restare in tema, era culla e palestra dell’“inchiummata” o “pigliata di bella”. Si trattava di schiaffeggiare qualcuno a mani pari, acciuffando e tramortendo – in rigorosa sincronia – le guance dello sfidante. Ma solo dopo aver preparato, lentissimi, il tranello: fingendo prima disinteresse e poi scatenandosi, in modo da cogliere impreparato chi t’aveva offeso. Persino il racconto dell’“inchiummata” agli amici era lento. Vivacizzato da lenterrima onomatopea: petepetepemmete! La commemorazione degli schiaffi che avevano colpito il nemico (più per umiliare che per ospedalizzare) aveva il ritmo del tamburo d’assalto, l’estensione di un ululato. Era un’esagerazione epica. Dunque lenta.
Lenti eravamo nell’incedere. Da qui, forse, la tautologia nostrana di “camminata a piedi”. Ove la precisazione “a piedi” sottintendeva un elogio della lentezza; del godere, molleggiando sui talloni, di quello che s’incontra lungo la via. Suo corollario era l’“annacata”. Alla lentezza si aggiungeva indifferenza da re della giungla, uno scuotere di criniera, il lusso arabo di arrivare a destinazione senza tradire premura.
Poi giunse l’automobile. Lasciammo che la lentezza si accomodasse alla guida. Complice il traffico, del quale fummo e siamo collaborazionisti. Credevo che fosse una fase eterna. Ma le cronache mi smentiscono.
Evito di leggere i dati biografici delle vittime della strada che ultimamente insanguinano le pagine dei quotidiani, e a cadenza settimanale. Mi fa male scoprire che si tratta per lo più di pedoni: dunque in svantaggio davanti a un carnivoro a quattro ruote, cieco alle strisce pedonali. Nella testa, mi echeggia il refrain da savana: l’incidente sarebbe stato causato dell’alta velocità.
E mi chiedo: chi ha ucciso al volante aveva qualche mondo da salvare, un conto da saldare, un incendio da estinguere? Perché tanta fretta? Malignando, suggerisco un’analisi delle acque reflue della città. Potremmo trovare un bel po’ di cocaina nelle pisciate del dopo-movida. Anche se altre voci dalla foresta mi suggeriscono che: “cocaina e velocità assassina hanno bisogno di una mente burina perché funzioni la rima”.
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11 Ottobre 2012, 12:09