13 Marzo 2014, 00:23
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Il programma di Italia 1 “Le Iene” dà voce ad Ignazio Cutrò, l’imprenditore siciliano che è rimasto nel suo paese dopo aver denunciato la famiglia mafiosa che, con una serie di attentati, gli stava rovinando la vita. La troupe sbarca a Bivona, nell’agrigentino, dove Cutrò aveva un’impresa edile avviata. L’imprenditore antiracket ripercorre la sua storia fatta di minacce, lettere anonime ed attentati incendiari: “L’obiettivo era distruggere la mia azienda e favorire quelle in mano ai malavitosi...Stavo impazzendo, avevo un nemico invisibile, questi mi davano colpi dappertutto, io non capivo con chi stavo combattendo, di chi mi poteva fidare”.
Un incubo che ha portato Cutrò persino a dormire in macchina per non perdere mai di vista la sua azienda. “Ogni volta che subivo un attentato – racconta – la prima telefonata che ricevevo era quella di loro (il clan Panepinto, ndr) che si mettevano a disposizione…Luigi era stato mio compagno di scuola, mio compagno di banco…forse lì aveva ragione Giovanni Falcone quando diceva che il primo mazzo di fiori che arriva è quello dell’assassino”. Grazie alle intercettazioni partite dalla denuncia di Cutrò, scatta una retata che però non pone fine alla minacce. Segue una lotta ancora più dura, ma stavolta il nemico da fronteggiare non è la mafia ma chi dovrebbe proteggere l’imprenditore-coraggio: “Dopo l’arresto mi hanno lasciato da solo, a morire, senza alcun tipo di protezione”. Finalmente gli viene riconosciuta l’auto di scorta, ma la moglie e i due figli restano senza protezione per tre anni.
Dopo la fine del processo di primo grado in cui i membri della famiglia mafiosa vengono condannati a più di 60 anni di carcere, Cutrò e la sua famiglia entrano nel programma di protezione per i testimoni di giustizia ma invece di cambiare identità e trasferirsi in una località protetta scelgono di restare nel loro paese. Nonostante abbiano la macchina di scorta, al calar della notte – lamenta l’imprenditore – cala anche la sorveglianza. All’angoscia per la mancanza di sicurezza si aggiunge, inoltre, una condizione economica non rosea: da quando ha denunciato, nessuno gli commissiona più lavori. “Mi stanno facendo piangere la scelta di restare nella mia terra?“, si interroga. Ridotto sul lastrico, Cutrò sta pensando di lasciare l’Italia ma, potendo tornare indietro, rifarebbe le stesse scelte. “Le denunce vanno fatte e lo Stato deve starci vicino” è il suo grido di disperazione.
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13 Marzo 2014, 00:23