29 Gennaio 2015, 13:22
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PALERMO – “Da oggi non sono più un imprenditore. La mia azienda edile non esiste più. E’ stata cancellata perché non ero più in grado di sostenerla per i debiti che in questi anni di non lavoro si sono accumulati”. Lo scrive in una nota il testimone di giustizia, Ignazio Cutrò, di Bivona (Agrigento), che ha denunciato i suoi estorsori. “E’ stata cancellata dal silenzio dello Stato, dall’omertà di uno Stato che a parole fa la lotta alla mafia e nei fatti abbandona chi denuncia – dice -. A me ed alla mia famiglia non resta più nulla se non l’amarezza di chi ha creduto e crede in una lotta sana, reale e concreta contro le mafie. Siamo di fronte al baratro, oggi più di ieri io, mia moglie Giuseppina, e i miei figli Giuseppe e Veronica, siamo uniti, uniti questa volta per far fronte alla lotta della sopravvivenza. A loro chiedo scusa per avergli fatto vivere una vita da incubo, sotto scorta e senza più un minimo di certezze”.
“Ci sarà tempo e modo per capire i motivi che hanno portato sul lastrico la mia famiglia – ancora Cutrò -. Io non sarò più la cavia di niente e di nessuno. Se un giorno qualcuno vorrà riprendere sul serio la lotta alla mafia e al racket io sarò al suo fianco. Ma oggi, e lo dimostra non soltanto la mia vicenda personale ma le centinaia di inchieste aperte in tutta Italia, la lotta alla mafia è un fatto riservato a investigatori e magistrati che lavorano tra ostacoli e difficoltà. Sparito nei fatti dall’agenda della politica. Non ho più la mia azienda, e questa è la migliore vittoria per la mafia. Così si dimostra ancora una volta chi comanda nei territori. Non ho più l’azienda e non so, da oggi in poi, cosa potrò e dovrò fare per vivere, per continuare a pagare i miei debiti e per sostentare la mia famiglia. Abbraccio chi mi è stato e mi è vicino, i miei amici, i tanti testimoni di giustizia che lottano insieme a me, i miei angeli custodi, gli uomini della scorta che in silenzio, con affetto pari all’altissimo senso di professionalità e responsabilità vigilano su me e sulla mia famiglia. Ringrazio i magistrati e gli investigatori che mi hanno ascoltato e hanno creduto in me. La mia sconfitta, purtroppo è anche la sconfitta simbolica del loro lavoro e qualcuno dovrà porre rimedio”.
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29 Gennaio 2015, 13:22