12 Marzo 2014, 09:56
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PALERMO – Tenente della polizia di New York. Nato a Padula, in provincia di Salerno, nel 1860 e ucciso a Palermo il 12 marzo 1909. È l’uomo che giura una lotta senza quartiere ai gangster arrivati da lontano. Nel febbraio del 1909 Joe Petrosino parte per la Sicilia. Il suo obiettivo è di scoprire le radici della “Mano nera”, un’organizzazione criminale che terrorizza New York. Ma il poliziotto italo-americano muore assassinato a colpi d’arma da fuoco a piazza Marina, davanti alla cancellata del giardino Garibaldi. La sua famiglia (il padre era sarto) emigra negli Stati Uniti nel 1873. Joe ha ventitré anni quando, dopo ave- re fatto diversi mestieri, entra nel corpo della polizia di New York. Fa presto a distinguersi tra i compagni. Gli ufficiali sono contenti di quell’italo-americano che lavora sodo e fa dimenticare i suoi giovani connazionali che hanno imboccato ben altra strada. Joe è carico di disciplinata euforia e si turba quando negli uffici arrivano giovani italiani ammanettati, colpevoli di furti, rapine e persino di omicidi.
Come molti ragazzi della sua generazione arrivati negli States dall’Italia, Joe è molto legato alle proprie radici. A Little Italy cerca sempre di incanalare i giovani immigrati verso una strada diversa da quella imboccata dalla maggior parte dei suoi coetanei: malviventi senza scrupoli, che accrescono di giorno in giorno la fama di duri, pronti a qualsiasi delitto pur di affermare la propria arroganza. Alle soglie dei quarant’anni, Joe Petrosino intuisce che gli uomini della “Mano nera” hanno ormai conquistato una grossa fetta di potere, sempre pronti a terrorizzare con minacce e attentati gli americani. Il suo obiettivo è di tagliare le radici di quell’organizzazione malavitosa di New York, che costringe la città a vivere nel terrore delle estorsioni. Sono giorni e giorni di riunioni con i capi. Alla fine la decisione di andare in Sicilia, dove un sicario della Mano nera affida l’ultima parola al piombo di un revolver.
Sono le 20,45. Da qualche minuto il detective ha finito di cenare al Caffè Oreto e si sta dirigendo verso l’hotel de France, dove alloggia, ma è la fine. Tra gli oggetti che Petrosino porta in tasca ci sono fogli di carta con diversi nomi di gente che ha avuto a che fare con la legge. Uno è sottolineato: Vito Cascio Ferro, di Bisacquino, che era stato per diversi anni negli Stati Uniti. Sospettato dell’assassinio del tenente, don Vito Cascio Ferro viene arrestato il 3 aprile al suo paese, proprio sotto casa, dove arriva in carrozza. Un’istruttoria lunga e snervante per la polizia, ma non per don Vito, che viene prosciolto per insufficienza di prove. Eppure, gli investigatori siciliani e americani erano convinti che a sparare fosse stato proprio Cascio Ferro, mentre l’ordine era partito da New York, dai capi della Mano Nera, che avevano voluto punire l’intraprendenza del tenente Petrosino, “quell’italo-americano intrigante che si era messo in testa di mettere le mani alla gola della mafia”.
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12 Marzo 2014, 09:56