06 Settembre 2011, 07:45
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Cara Livesicilia. Non sono un economista e non ho la ricetta per uscire dalla crisi economica mondiale che colpisce anche l’Italia. Leggo che gli esperti affermano la necessità di eliminare dal nostro calendario le troppe festività, laiche e religiose, perché in tempi di crisi bisogna produrre e non battere la fiacca. Non ho problemi a credere a questa teoria, ma sul merito delle feste da tagliare ho qualche perplessità. Dopo le polemiche sollevate dall’intellighenzia di sinistra, il Pdl ha accolto un emendamento in Commissione Bilancio del Senato, proposto da un senatore del Pd, che salva le feste civili del Primo maggio, del 25 aprile e del 2 giugno, ma non le feste patronali. Queste di fatto verrebbero abolite in quanto accorpate alla domenica.
Cosciente di attirare su di me gli strali dei nostalgici della guerra civile, nonché di taluni parlamentari del mio partito, non ho alcun problema ad affermare, credo insieme alla stragrande maggioranza dei palermitani: meglio Santa Rosalia che il 25 aprile! Se proprio dobbiamo scegliere quale festività salvare e abolire basta fare un semplice ragionamento. Le feste patronali, in ogni singolo comune d’Italia, sono il massimo momento di coesione culturale e sociale della comunità locale. Pensate alla festa della nostra “Santuzza”. Nella notte tra il 14 ed il 15 luglio, durante il fatidico “Festino”, non esistono a Palermo divisioni sociali, culturali e politiche. I palermitani fanno festa insieme seguendo il carro, mangiando le primizie della nostra cucina e guardando i giochi d’artificio. Poi noi palermitani siamo particolari anche nella singolare capacità di raddoppiare la festa con la tradizionale “acchianata” del 4 settembre (il dies natalis di Santa Rosalia).
La fatica della salita del Monte Pellegrino, la visita al Santuario e l’immancabile mangiata suggellano il legame tra il popolo palermitano e la sua amata patrona. In queste occasioni fede e cultura popolare si uniscono costruendo quella identità profonda che conserviamo gelosamente. Oltre al dato identitario c’è anche un fattore economico: ovunque le feste patronali sono un volano per le economie locali in quanto attirano molti turisti.
Dovremmo rinunciare a tutto questo per salvare il 25 aprile? Posso arrivare a comprendere l’importanza del 2 giugno e del Primo maggio, date in qualche modo che segnano l’unità del paese, da punto di vista storico e sociale. Ma questo non vale per il 25 aprile. Di quel giorno gli italiani al massimo vogliono difendere la tradizionale gita fuori porta. Soltanto una sparuta minoranza partecipa alle cerimonie ufficiali ed ai cortei, di parte, inondati dalle bandiere rosse. Ogni anno a Palermo sono al massimo in venti coloro che partecipano alla commemorazione al Giardino Inglese. Del resto si festeggia, dal punto di vista propriamente storico, la vittoria di una fazione sull’altra di una terribile guerra civile, in cui gli italiani si ammazzavano fra di loro in nome di ideali politici opposti. Per altro la guerra civile riguardò circa la metà del territorio italiano. E’ naturale che il 25 aprile non sia una festa unificante. Siamo l’unico Paese al mondo che invece di festeggiare la data di una vittoria come quella della prima guerra mondiale (penso al 4 novembre da tempo soppressa), celebra la sua sconfitta nella seconda guerra mondiale (la caduta del regime non equivale alla vittoria in una guerra che alla fine abbiamo perso con ciò che drammaticamente ha comportato).
Qualcuno dice e scrive che da tempo il Pdl ha perso la bussola, incapace di governare e prendere decisioni sulla base di un preciso programma e di una visione politica generale che si differenzia dalla sinistra. Questa vicenda delle festività, apparentemente secondaria, conferma lo stato confusionale in cui versa il centrodestra italiano. Il Parlamento potrà anche decidere di toglierci le nostre care feste patronali in nome della difesa del 25 aprile. Eppure quasi mai certe leggi fredde cancellano l’identità dei popoli. Palermo continuerà a festeggiare la sua Santuzza ed ignorare la “festa” del rancore e della divisione.
L’autore è presidente regionale di Giovane Italia
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06 Settembre 2011, 07:45