Il 25 novembre | dei ragazzi di scuola

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25 Novembre 2010, 04:43

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Biagio Siciliano e Giuditta Milella morirono il 25 novembre dell’ottantacinque. Morirono in un giorno d’autunno travestito da primavera. In effetti non ho memoria del clima preciso. E’ che quando ripenso agli anni della scuola li ricordo tutti punteggiati di sole.

Quel venticinque novembre, a Palermo, una macchina di scorta che accompagnava i giudici Guarnotta e Borsellino, guidata dal carabiniere Cosimo Damiano Capacchione, piombò sulla fermata del liceo Meli a piazza Croci, sui ragazzi assiepati in attesa dell’autobus alla fine delle lezioni. Due studenti furono sfortunati.  Biagio Siciliano morì subito. Giuditta Milella spirò dopo settimane di agonia. Io, orgoglioso alunno del classico, tornai a casa a piedi, ignaro. Appena arrivato, vidi mio padre che trafficava con la macchina nel parcheggio sotto casa. Ai piedi aveva ancora le pantofole. Mio padre era professore nella mia stessa scuola, costretto a letto dalla febbre in quel 25 novembre. Il dettaglio inconsueto delle pantofole in un uomo tanto presente a se stesso mi suggerì un sentimento di catastrofe poi confermato dai fatti.

Lo so. L’ho raccontata altre mille volte questa storia, fino alla nausea, e sempre in prima persona, contro ogni buona creanza giornalistica. Ci ho scritto pure un libro. Ma che posso farci? Mi accompagna senza tregua, con un sentimento strano: felicità delle mattine soleggiate di scuola e dolore per la tragedia. Così la scrivo e la riscrivo, sperando di scorgere un po’ di chiarore, di capirne la dannazione, di abbracciarne – se c’è – la dolcezza.

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Ma forse è una storia che riguarda i ragazzi di oggi. Il 25 novembre del 1985 la mia generazione si trovò a fare i conti con la sua misura estrema, non solo i ragazzi del Meli. Scoprimmo una cosa strana chiamata morte, per esperienza diretta, nel bel mezzo delle cotte, delle poesie e dei sogni.  Nel bel mezzo, cioè, di una cosa strana chiamata vita che ritenevamo eterna e infrangibile. Scoprimmo che, in ogni modo, il tempo passa e ci conduce all’epilogo e che una piccola  goccia di sguardo e di respiro ha un valore, perciò, inestimabile.

Non sappiamo se i ragazzi che stamattina  protesteranno a Palermo per la scuola abbiano avuto mai modo, singolarmente, in gruppo, per i casi delle vita, per certe penetranti letture, di raggiungere la nostra stessa consapevolezza di allora. Se è così, la loro ribellione sarà matura, buona  e profonda. Sarà un modo interiore di crescere. Altrimenti sarà tempo smarrito, perché il tempo a quell’età somiglia all’acqua che puoi buttare per strada, tanto ce n’è ancora. E invece, un minuto dopo, c’è il deserto.
Dice, ma che c’entra? C’entra, c’entra. Una generazione che accoglie la regola principale del tramonto di tutte le cose è meno portata a sprecare i suoi talenti, le sue battaglie, i suoi percorsi. Possiamo solo augurare ai contemporanei ragazzi di scuola la lucidità sul punto. Se la colgono hanno compreso tutto e le scelte saranno sempre stoffa di un vestito buono.

Noi vecchi ragazzi del Meli ci siamo sforzati, crescendo,  di imparare la dura lezione del 25 novembre. Non abbiamo tirato le nostre monete in aria. Le abbiamo spese  in amore, prendendoci e sbagliando. Il peccato mortale è altro, non è mica la morte. La noia ti uccide quando non sei più capace di far fruttare il metallo dei giorni, sia esso oro o piombo. Quando ti ostini a tenerlo in tasca, pensando che sarà sempre primavera.

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25 Novembre 2010, 04:43

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