Il 41 bis, le supercarceri| e il punto di equilibrio

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24 Novembre 2009, 12:15

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Nelle ultime settimane si è tornato a parlare di 41 bis e supercarceri, e il clima è tornato infuocato. Da una parte, il tentativo di ripristinare l’efficacia del regime carcerario nei confronti dei detenuti più pericolosi, cioè i mafiosi; all’altra parte, la tutela di altri interessi e principi: la difesa dell’ambiente e di beni paesaggistici ove sono allocate alcune strutture penitenziarie ad altissima sicurezza, e il principio rieducativo della pena che pretende che il trattamento carcerario non comprima diritti fondamentali della persona. Tutto giusto, tutto legittimo. Si tratta, come ogni volta che vengono in causa esigenze contrapposte, di trovare il giusto punto di equilibrio.

Cos’è il regime previsto dall’articolo 41 bis dell’ordinamento penitenziario? È la vendetta cieca e brutale dello Stato nei confronti di prigionieri ritenuti criminali particolarmente feroci e quindi meritevoli di una reazione altrettanto feroce da parte dello Stato? Così, i suoi detrattori lo dipingono. E se così fosse, uno Stato di diritto si dovrebbe regolare come il Presidente Obama ha promesso di fare con la prigione di Guantanamo, luogo di illegittime torture, sede di violazione dei diritti umani: metterci una pietra sopra.

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Ma così non è. Il regime del 41 bis è, al contrario e paradossalmente, l’unico sistema a disposizione dello Stato per attuare la funzione rieducativa della pena nei confronti dei mafiosi. Mi spiego. Ho detto che i mafiosi sono i detenuti più pericolosi. Ma ciò non ha a che fare con una loro congenita maggior pericolosità criminale. Non è questione di Dna. È questione di organizzazione. Il mafioso è pericoloso per l’organizzazione che ha alle spalle, della quale fa parte, dalla quale non si può liberare e che lo assiste, lo protegge, lo sostiene, lo mantiene criminale potente e pericoloso anche dentro l’ambiente carcerario. Un unico sistema ha a disposizione lo Stato per evitarlo e per dare anche a questo detenuto un’opportunità di riscatto e di risocializzazione: interrompere il vincolo con l’organizzazione. È questa l’unica funzione del 41 bis e bene ha fatto il Parlamento di recente a stabilizzarlo e a restituirgli efficacia, tutt’altro che lesiva dei diritti umani, come più volte ha ribadito la Corte costituzionale.

Ma non basta. La proposta del ministro Alfano, purtroppo poi ritirata a causa delle pressioni di associazioni ambientaliste, di comunità locali e di altri ministri dello stesso Governo, di riaprire le supercarceri di Pianosa e dell’Asinara, teneva conto di un altro aspetto. Che il senso di separatezza e distanza che danno certe isole, la forza simbolica di quei due stabilimenti penitenziari che furono negli anni ’90 la spina nel fianco di Cosa nostra, possono diventare componenti essenziali dell’impegno antimafia dello Stato. Certo, la prigione non è la soluzione di tutti i mali, ma forse è il momento migliore per dare una risposta forte al mondo carcerario di Cosa nostra, che invia all’esterno oscuri segnali.

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24 Novembre 2009, 12:15

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