17 Giugno 2012, 09:17
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“Ciao zio”. Da quanto non la vedevo la bambina zingara di via Lincoln? Sono passati giorni, anni, o forse era un’altra vita? Mi aspettava, mi attendeva in agguato, con la pazienza dei gatti, sulla strada che conduceva i pensieri dalla macchina al “Giornale di Sicilia”. Il rito ortodosso di un’arancina al forno al bar Rosanero, ed eccola. Svelta, furba, due occhi malandrini, impossibile resistere: “Ciao zio, mi da qualcosa? Un’offerta?”. E io scucivo cinquanta centesimi, un euro al giorno. Troppo. Alla fine ci mettemmo d’accordo per un forfait mensile: dieci euro al mese, “ma tu non devi scocciarmi più”. Invece niente, parcheggiavo la mia Polo nuova fiammante che un giorno fu presa a ricovero da un barbone che, per scusarsi, sussurrò un rimprovero: “Che colpa ne ho io se la tua auto è pronta per lo sfasciacarrozze e pare una carcassa?”. Abbozzavo qualche passo. Quando mi sentivo al sicuro, sbucava lei da un angolo impensato, con le sue pupille accese di astuzia infantile. E ricominciava: “Zio, un’offerta”.
Via Lincoln di mattina straripava di mendicanti veri e di venditori impossibili. C’era “Il Signor Lei”, esperto nel marketing di arance della sua campagna: “Signor Lei, chi ffa, mi nni accatta una e mi fa vuscari u pani”. C’era l’uomo senza un occhio che si sedeva davanti al bar Rosanero. Sfruttava il marketing dei poveri: sistemarsi nei luoghi in cui i palermitani consumano la colazione. Tu esci con la pancia colma di riso delle arancine, olio e frittura. E nell’apice del godimento gastronomico e della pienezza di stomaco, un disperato magrissimo, con la mano tesa nella supplica, piomba nella tua opulenta e ruttante serenità. Normale che uno si senta in colpa e porti, svelto, la mano al portafoglio.
C’era il re dei formaggi che commerciava in mozzarelle di bufala. Di notte, terminato il turno di nera, l’universo cambiava. La signora bionda, nello stesso pezzetto di marciapiede. I trans all’angolo di via Archirafi. E, in continuazione, eserciti di consumatori di arancine nemiche. Via Lincoln si divideva in due ortodossie, i rosaneristi e i touringhisti, dal titolo delle rispettive chiese. Chi andava al Rosanero e chi al Touring. E non poteva esserci amicizia. Chissà se è ancora così. E a mezzanotte il tour sconcio dei puttanieri, le offese urlate alle nigeriane dal finestrino dei vigliacchi. Il vento ne portava l’eco: “Ulla, ulla, ulla…”.
Venerdì, in via Cavour, una voce: “Ciao zio”. Una donna con i capelli tinti di biondo cenere adesso, ma gli occhi uguali. Lei, la bambina zingara. “Ciao zio, ti ricordi di me? Ti ricordi di quando mi hai dato una bambola. Ero piccola. Ora sono grande e ho un figlio”. Un bacio schioccato sulla mia guancia. Sì, mi ricordo di te, ragazzina senza nome. Ci sono incontri che rammentano un passato forse non lontano negli anni, ma distante nell’anima. All’improvviso qualcosa risorge. E ti riporta indietro. Avrai l’età delle adolescenti palermitane che vanno a scuola d’inverno e a Mondello d’estate. Mi spieghi che sei grande. Ricordo la bambola col ciuccio che ti regalai, la tua reazione. Uno sguardo dolce, una cullata al petto con una ninna nanna in una lingua sconosciuta. La rabbia improvvisa, generata da un soprassalto. Il lancio in un cassonetto. C’era il mare intorno. E c’eri tu, bambina zingara. Tu che non sei stata mai bambina.
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17 Giugno 2012, 09:17