09 Aprile 2017, 16:31
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Le “case dei fantasmi” sono stabilimenti industriali ai bordi delle strade e alle periferie delle città siciliane. Sorgono in mezzo al nulla o accanto a palazzi nuovissimi, circondate dal verde o ai margini di centri commerciali. Sono inserite nel paesaggio da talmente tanto tempo che ci siamo abituati alla loro presenza. Spesso sono abbandonate e ci chiediamo cosa siano state e quale sarà il loro destino, mentre a volte vivono ancora, ma nascondono storie del passato che aspettano di essere raccontate. La nona puntata è su un borgo abbandonato e senza storia.
Sembra un’abbazia, e l’illusione resiste fino a che non si entra nella piccola piazza. Sarà per la torre ancora integra, o per la posizione in cima a una collina che lo rende visibile fino a chilometri di distanza, ma più di un viaggiatore ha scambiato questo piccolo gruppo di costruzioni per un monastero funzionante. Solo entrando a Borgo Borzellino, in provincia di Palermo, si capisce di essere arrivati dentro un paradosso: un villaggio in cui la storia ha avuto un ruolo fondamentale, ma che non ha mai avuto il tempo di farsene una propria.
Il gruppo di costruzioni è sul bordo della statale che collega Palermo a Sciacca, sopra una grande piazzola di sosta che da anni si è trasformata in una discarica abusiva. Per entrarci però si deve fare un viaggio in un altro paese, quello delle stradine di campagna e dei campi dell’alto Belice, lasciandosi alle spalle qualche centro commerciale e una cantina. Qui si entra nella Sicilia rurale, quella che nei primi anni del novecento era ancora dominata dal latifondo e che a metà degli anni trenta ricevette le attenzioni del regime fascista, deciso ad assaltare le grandi proprietà terriere incolte e a difendere le zone rurali del paese da una fuga verso la città. Fu per servire zone come questa che nacquero i borghi fascisti, piccoli nuclei urbani in cui sarebbe stato possibile trovare i servizi essenziali senza doversi spingere fino alle città.
Borgo Borzellino venne progettato negli anni Trenta per servire millecinquecento persone nella zona tra Camporeale e San Cipirello. Il nome deriva da Domenico Borzellino, un martire fascista che, secondo il principio seguito dal regime nel dedicare i borghi, dovrebbe essere nato nelle vicinanze. Nessuno tra chi si è occupato del borgo, però, è mai riuscito a trovare notizia di Borzellino, che non figura in nessun elenco ufficiale di caduti fascisti. La posizione del borgo, nei pressi della linea mai completata tra Palermo e Camporeale, avrebbe dovuto assicurare buoni collegamenti con tutto l’alto Belice, e per questo il nuovo nucleo venne dotato dai progettisti Giuseppe Caronia Roberti e Guido Puleo di un municipio, una chiesa, un ufficio postale, di una caserma dei carabinieri, una scuola, una trattoria e rivendita, botteghe per artigiani e tutti gli alloggi per gli addetti ai vari servizi.
Solo che non si può dire con certezza. Perché una costante nella storia di Borgo Borzellino è il totale distacco tra quello che viene progettato e consegnato ai vari enti interessati e quello che viene davvero realizzato. Si sa che la costruzione iniziò tra il 1939 e il 1940 e che subì subito un arresto. Il contratto con la prima ditta appaltante venne rescisso e venne presentato un nuovo, faraonico progetto che prevedeva quattordici edifici. I lavori vennero consegnati nell’aprile del 1943, e tre mesi più tardi furono sospesi per l’invasione della Sicilia da parte degli Alleati. Il direttore dei lavori Puleo, però, riuscì a ottenere un finanziamento da parte delle autorità alleate per completare la scuola e gli alloggi, e cambiò per l’ennesima volta progetto, eliminando qualsiasi fregio o riferimento al passato regime fascista.
Con l’entrata nell’epoca repubblicana, Borgo Borzellino passò in mano all’Ente Agricolo Siciliano, che avrebbe dovuto completarlo e usarlo per le sue politiche agrarie. Alcune perizie parlano di lavori di manutenzione intorno agli anni cinquanta e di un collaudo sulle strutture esistenti, ma nel frattempo intervenne la riforma agraria, i borghi agricoli persero di senso e vennero abbandonati. Nessuno ha mai davvero vissuto a Borgo Borzellino. Negli anni settanta viene dato a una cooperativa e poi viene usato come deposito meccanico dell’Eas, ma nessuno è mai nato qui, non ci ha mai lavorato un carabiniere, né un insegnante o un alunno si sono mai incontrati nella scuola. Le costruzioni sono venute su non si sa bene quando, e sono rimaste vuote.
L’ultima volta che ci si è ricordati di questo piccolo gruppo di case è stato nel 2011, quando si è parlato di un finanziamento della Regione per fare rinascere i borghi abbandonati. Borgo Borzellino sarebbe dovuto diventare un “borgo d’arte”, in cui fare concerti, workshop e rappresentazioni teatrali, ma oggi il finto monastero è abitato dagli uccelli e frequentato da appassionati di soft air, che tra le sue mura giocano alla guerra con le armi caricate a inchiostro. Sui muri esterni qualcuno ha scritto a bomboletta la funzione di ciascun edificio, per distinguere la scuola dagli alloggi e dagli altri servizi. Accanto alla scala della caserma, proprio all’ingresso del borgo, la scritta dice “Non si va da nessuna parte”.
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09 Aprile 2017, 16:31