12 Giugno 2017, 19:45
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PALERMO – “Non sei nessuno” dice Antonino Abbate all’agente di polizia penitenziaria che lo invita a cambiare cella. Il boss del Borgo Vecchio rincara la dose: “Scendi dal piedistallo. Non sei nessuno, io posso permettermi di annacarmi perché ho la patente per annacarmi e se mi sposto è perché mi voglio spostare io e non perché me lo dici tu”. Il siparietto, andato in scena lo scorso 8 febbraio, è finito in una relazione di servizio.
Il tutto è accaduto nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo dove davanti al giudice per le indagini preliminari Nicola Aiello si stava svolgendo il processo che vede imputati i presunti mafiosi di una fetta di città. Abbate, che risponde del reato di estorsione, era stato tradotto dal carcere di Trapani e sistemato nella cella numero 20 per assistere al processo.
Gli agenti della polizia penitenziaria, però, avevano delle disposizioni diverse. Abbate si doveva spostare. A quel punto, hanno annotato gli agenti di polizia penitenziaria, l’imputato “manifestava con aria spavalda la sua disapprovazione a spostarsi dalla cella”. Gradiva di più, e adesso si deve capire il perché, restare alla numero 20 piuttosto che nella 18.
Il processo è lo stesso nel corso del quale, un mese dopo, ad Abbate sarebbe stata notificata l’ordinanza di custodia cautelare per l’omicidio dell’avvocato Enzo Fragalà. Stessa cosa per altri due coimputati coimputati, Francesco Castronovo e Salvatore Ingrassia.
Posizione controversa quella di Abbate, già condannato per mafia. Secondo il pentito Francesco Chiarello, Abbate sarebbe stato colui che indicò (“Iddu è”) FRagalà agli uomini che lo aggredirono. Poi, ha iniziato la sua collaborazione Antonino Siragusa, pure lui accusato del delitto, secondo cui Abbate, sarebbe stato colui che materialmente aggredì Enzo Fragalà a colpi di bastone.
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12 Giugno 2017, 19:45