Il boss colpito al cuore

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16 Marzo 2010, 06:42

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(di Lara Sirignano-ANSA) ”Noi non riconosciamo nessuno. Siamo in rapporti con tutti. Siamo a disposizione di chi ha bisogno, ma per altre cose non riconosciamo nessuno”. Il piglio del leader ce l’ha tutto. Matteo Messina Denaro, 48 anni, latitante da 17, considerato il nuovo capo di Cosa Nostra. L’unico capace, secondo gli inquirenti, che ieri hanno decapitato la rete dei suoi fiancheggiatori, di dettare le strategia di un’organizzazione criminale a corto di capi carismatici. Affida i suoi diktat ai pizzini, stabilisce le regole e delinea le nuove strutture organizzative di Cosa nostra. E’ lui a impedire, di fatto, l’istituzione della nuova commissione provinciale voluta dal boss Benedetto Capizzi, lui a ribadire che il potere di Totò Riina non si discute: ”siamo a disposizione di tutti – scrive in un pizzino – ma non riconosciamo nessuno”. Che abbia esteso il suo dominio, dal Trapanese, alla provincia di Palermo, per gli inquirenti, è ormai una certezza. E per tenere vivi i rapporti con i suoi referenti mafiosi piu’ distanti è costretto a usare i ”pizzini”, smistati, secondo regole improntate alla massima cautela, da pochi fedelissimi. Gli stessi che curano la sua la latitanza e gli cercano covi sicuri e confortevoli. L’operazione di ieri, che ha portato al fermo dei principali fiancheggiatori di Matteo Messina Denaro, – tra loro anche l’ottuagenario Antonino Marotta, collegato perfino alla banda Giuliano – va a colpire al cuore la leadership del boss latitante facendo ”terra bruciata” attorno a lui. Perchè, oltre ai ”postini”, agli esattori del pizzo e alla manovalanza criminale, comunque indispensabile per gli affari e l’affermazione del potere del padrino, punta ai suoi colonnelli: come il fratello Salvatore Messina Denaro. ”Un cristianu giustu, come il padre, don Ciccio”, dicono i mafiosi non sapendo di essere intercettati. E’ lui ad assumere il comando dopo l’arresto di Filippo Guttadauro, cognato del padrino trapanese e trait d’union con Bernardo Provenzano. Guttadauro viene arrestato il 17 luglio del 2006, dopo meno di due mesi, il 15 agosto, Salvatore Messina Denaro esce dal carcere e riprende la guida del mandamento. Una successione rapida, tutta in famiglia, che garantisce la continuità. Da sorvegliato speciale, il fratello del latitante, organizza summit – alcuni in luoghi assai singolari, come la spiaggia, per non destare sospetti – stabilisce a chi debbano andare gli appalti, detta le regole delle estorsioni. La ”testa dell’acqua” lo chiamano i suoi: espressione che indica il prestigio di cui gode. Le entrate della cosca vengono assicurate con le estorsioni, imposte a tappeto a colpi di intimidazioni e danneggiamenti. Nel provvedimento, disposto dalla dda di Palermo, si contano diversi attentati incendiari. Nel mirino della cosca sarebbe finito anche l’ex consigliere comunale del Pd Pasquale Calamia. Gli uomini di Messina Denaro avrebbero distrutto la sua villa al mare: aveva chiesto un segnale forte dello Stato affinchè Castelvetrano non fosse ricordata solo come il paese natale di Matteo Messina Denaro, ma anche come il luogo del suo arresto. Ampio spazio, nella misura, viene dedicato inoltre a una figura politica molto controversa: quella dell’ex sindaco di Castelvetrano Antonino Vaccarino, re del doppio gioco. Ex insegnante di Salvatore Messina Denaro e protagonista di un fitto carteggio col latitante, che l’aveva soprannominato Svetonio per impedirne l’identificazione, riferiva tutti i particolari dei suoi contatti col ricercato ai Servizi Segreti. ”E’ un morto che cammina”, commentarono i mafiosi quando il tradimento di Svetonio diventò di dominio pubblico.

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16 Marzo 2010, 06:42

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