23 Giugno 2015, 15:19
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PALERMO – L’immagine di quel 23 marzo del 1980 con le camionette della guardia di finanza che fecero irruzione nei campi di serie A durante la diretta di 90° minuto sono ancora scolpite nella mente di milioni di italiani over 40. Fu il primo scandalo che squarciò la credibilità il mondo del calcio e travolse icone del calibro di Bruno Giordano, Paolo Rossi e Giuseppe Dossena solo per citarne alcuni. L’inchiesta sul “Totonero” segnò la fine di un’era, lo spartiacque tra la visione romantica di un calcio simbolo di uno sport nazionale in cui milioni di italiani riponevano fiducia e trovavano un conforto domenicale dopo una settimana di lavoro e il circo milionario e senza bandiere che è diventato oggi. Le figurine di quello che poi divenne il Pablito nazionale con la vittoria degli azzurri di Bearzot al Mondiale di Spagna da quel giorno valevano un po’ meno.
Da quel primo maxi processo al calcio italiano scaturirono pene pesantissime, radiazioni e penalizzazioni esemplari. In primo grado il Palermo venne assolto, in appello penalizzato di 5 punti nel campionato di serie B. Poi, come per positivo rapporto di causa effetto, fino al 1986 il mondo del calcio tricolore riuscì a restare lontano da grossi scandali legati a combine. Fu in quell’anno, infatti, che la confessione di Armando Carbone, braccio destro del dirigente del Napoli Italo Allodi, alzò il velo su un giro di partite combinate (l’inchiesta Totonero-bis) che coinvolgeva i campionati dalla serie A alla C-2. Altro giro di condanne, retrocessioni e penalizzazioni e altra botta alla credibilità dello sport nazionale per eccellenza. Nella sentenza della Caf di secondo grado il Palermo venne penalizzato di 5 punti nel campionato cadetto 1986-87, ma poi non giocò quel campionato perché radiato per problemi finanziari. Il calcio sparì dal capoluogo siciliano fino alla rinascita in C-2 della stagione 1987-1988. Molti giocatori rosanero (Valerio Majo, Giuseppe Guerini, Maurizio Ronco, Onofrio Barone, Silvano Benedetti, Tebaldo Bigliardi, Gianni De Biasi, Massimo Bursi, Silvano Benedetti, Oliviero Di Stefano, Franco Falcetta, Andrea Pallanch, Claudio Pellegrini, Mario Piga, Michele Pintauro, Orazio Sorbello) furono squalificati con pene tra i tre anni e un mese. Il presidente era Salvatore Matta squalificato per 4 mesi.
Il resto è storia recente, datata 2011 e con epicentro la procura di Cremona che alzò il velo su una nuova storiaccia fatta di partite truccate, comprate e vendute con la compiacenza dei principali attori sul rettangolo di gioco, sportivi (si fa per dire) circondati da uno sciame di sciacalli e speculatori espressione del marciume che si annida nel mondo dorato del pallone. Cristiano Doni, Stefano Bettarini e Giuseppe Signori i nomi più noti travolti dall’inchiesta che fece emergere l’esistenza della “banda degli zingari”, regia di una macchina da soldi e, purtroppo di fango per il calcio italiano che già con Calciopoli nel 2006 aveva subìto un altro scossone. Ma quella è un’altra storia, dove al posto delle scommesse al centro dell’inchiesta c’erano designazioni e griglie arbitrali. Secondo l’accusa i dirigenti delle società coinvolte intrattenevano rapporti con i designatori arbitrali per influenzare le designazioni per le partite delle proprie squadre in modo da ottenere arbitri considerati favorevoli. In questo erano spesso appoggiati o spalleggiati dagli esponenti della federazione coinvolti nell’inchiesta. Sempre secondo l’accusa era pratica comune inoltrare attraverso i designatori arbitrali o la FIGC recriminazioni e velate minacce nei confronti degli arbitri considerati non favorevoli. Da oggi anche il Catania entra a far parte del poco invidiabile club delle squadre coinvolte in torbidi giochi che poco hanno a che fare con i valori dello sport.
Ne esce fuori un quadro sconfortante e ce n’è abbastanza per chiedersi quanto ancora potrà resistere il calcio a questi terremoti prima di perdere irrimediabilmente credibilità agli occhi di tanti bambini che ancora oggi vanno allo stadio o tifano per i propri idoli davanti alla tv di casa per poi scoprire che stavano assistendo a una fiction dall’esito concordato prima di affrontarsi.
Ma è così facile truccare una partita di calcio? Possono tre o quattro giocatori tra i 22 in campo influenzare il risultato senza informare i compagni di squadra del risultato pattuito? A giudicare dagli scandali emersi sì, anche se a volte può succedere l’imprevedibile. Come avvenne al brasiliano del Venezia Moacir Bastos Tuta, che in una sfida del 1999 contro il Bari segnò allo scadere il gol del decisivo 2-1 per i lagunari attirandosi le ire di compagni e avversari che erano d’accordo per un più “conveniente” pareggio.
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23 Giugno 2015, 15:19