Il caos del Pd siciliano | Le colpe di Raciti

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27 Novembre 2015, 06:50

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Il compito non era facile, ci mancherebbe. Ma a guardare oggi il prodotto finale della sua strategia, qualche dubbio sull’efficacia della sua azione appare legittimo. Fausto Raciti aveva intrapreso una strada coraggiosa e di vera rottura. Sancita dalla fuoriuscita dal governo Crocetta dell’area del Pd che maggiormente si ritrova vicina alle sue idee. Ore caldissime che oggi sembrano lontane nel tempo. Quanto basta, però, per rinvenire la vera essenza di quella azione di rottura: la lotta contro il “cerchio magico” del governatore nascondeva la necessità di mettere nelle mani della “vecchia politica” (nel senso della politica che si muove con i vecchi schemi) l’attività amministrativa del governo. E’ mancato il coraggio, insomma, di definire “conclusa” (ci si è fermati al “quasi conclusa”) l’esperienza Crocetta. Un mezzo fallimento, anche per Fausto Raciti. Costretto, un minuto dopo l’annuncio del nuovo governo, a prendere le distanze dal governatore. Dopo aver portato avanti per giorni, anche in sostituzione di Crocetta, a Tunisi, le difficili operazioni di preparazione del rimpasto. Tanto lavoro per cosa? La vicenda riguardante l’addio di Lucia Borsellino si è risolta con la semplice investitura del capogruppo Gucciardi. Come se attorno non fosse successo nulla. Mentre il nuovo rimpasto è servito per sancire, sostanzialmente, l’alleanza con l’Ncd di Alfano e l’ingresso in giunta dei “soliti” Cracolici e Marziano. Manovre non sufficienti per consentire al Pd di stare sereno. E di poter, ad esempio, scegliere un capogruppo senza mettere mano ai coltelli. E senza, soprattutto, contagiare il restante mondo della politica, col tradizionale immobilismo del Pd, figlio dei veti incrociati. Insomma, Raciti o non Raciti, il partito democratico è sempre lì. A litigare.

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27 Novembre 2015, 06:50

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