03 Marzo 2020, 16:42
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ROMA- Uno degli strumenti su cui si sta puntando per alleggerire il carico da coronavirus nei reparti di terapia intensiva sono i caschi CPAP (Continuous Positive Airway Pressure). Si tratta di macchinari portatili che aiutano il paziente a respirare, a metà strada tra la mascherina per l’ossigeno e l’intubazione, e che, se applicati subito alle prime difficoltà respiratorie, permettono di evitare il ricovero in terapia intensiva. La regione Lombardia ne sta acquistando 62 per farli avere agli ospedali più in difficoltà, oltre che alle strutture più grandi. Vengono già usati nei reparti di Pneumologia e Infettivologia e in questo caso saranno impiegati per aiutare a respirare i pazienti con coronavirus che non necessitino di terapia intensiva.
Come ha spiegato l’assessore lombardo al Welfare, Giulio Gallera, “il 50% dei pazienti trattati con questi macchinari non ha bisogno di terapia intensiva”. Per l’immunologo Giuseppe Remuzzi, presidente dell’Istituto Mario Negri di Milano, “è importante dotare i reparti di medicina di questi macchinari perché da quando il paziente con coronavirus manifesta le prime difficoltà respiratorie alla necessità di assisterlo nella respirazione con la ventilazione, passa pochissimo tempo, un giorno, a volte qualche ora”. E’ dunque importante trattare subito il malato in questo modo, “perchè così si riduce di parecchio la necessità di farlo andare in terapia intensiva, i cui posti sono limitati”, continua Remuzzi. I caschi Cpap vengono indossati dal paziente in ospedale, per qualche giorno, via via poi riducendo il tempo. Sono una modalità di ventilazione non invasiva applicata al malato, che rimane sveglio e collaborante, e a cui viene applicata una pressione positiva continua nelle vie aeree in tutte le fasi della respirazione. Sono impiegati come trattamento precoce per evitare l’intubazione e alternativa alla ventilazione invasiva, e hanno effetto sia sul polmone che sul cuore. (ANSA).
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03 Marzo 2020, 16:42