16 Novembre 2016, 20:08
4 min di lettura
Peppe Arnone, il pirotecnico campione dell’ambientalismo antimafioso agrigentino resta agli arresti. Ai domiciliari, per la precisione. Così ha deciso oggi il Gip di Agrigento accogliendo la richiesta della procura che lo indaga per estorsione. Secondo la difesa di Arnone, arrestato in flagranza lo scorso fine settimana, il denaro corrisposto dalla presunta vittima dell’estorsione, riportava oggi il Giornale di Sicilia, sarebbe in realtà quanto pattuito tra la donna e Arnone che, dicono gli avvocati, “avrebbe rinunciato a chiedere i danni alla collega per una calunniosa denuncia presentata contro di lui nel 2013. In cambio si sarebbe impegnato a ritirare la costituzione di parte civile e a non alimentare la diffusione della notizia del processo in cui l’avvocato era imputata”. Insomma, dietro la vicenda ci sarebbe comunque una storia in cui il mancato sputtanamento mediatico, specialità del vulcanico avvocato agrigentino, si quantifica con una contropartita in danaro, ma, secondo la difesa di Arnone, in base all’accordo tra le parti.
Una storia certo curiosa, che si inserisce nella lunga scia di vicende che hanno riguardato l’avvocato ambientalista ed eterno aspirante sindaco, censore a più riprese della condotta dei pm di Agrigento, che a più riprese si sono interessati di lui, in passato quasi sempre facendo più o meno un buco nell’acqua.
Alle gesta dei magistrati della procura agrigentina, e in particolare a quelle di Ignazio Fonzo, Arnone ha dedicato oltre a campagne, cartelloni, video e altre forme di comunicazione, anche un paio di libri autoprodotti. Emblematici i titoli: “(in)Giustizia e Minchiate” e “Giudici & Tragediatura”. Ancora più eloquenti i sottotitoli: “Come non deve operare una Procura: utili lezioni per Di Natale e Fonzo”. Volumi nei quali Arnone, partendo puntualmente dalle dichiarazioni di pentiti che rivelarono come il suo ambientalismo fosse inviso alla mafia, attaccava i magistrati – tirando in ballo varie vicende tra cui quella degli scoop che portarono alla caduta di Raffaele Lombardo – che lo avevano inquisito. Per le vicende più svariate. Un processo, ad esempio venne imbastito con l’accusa di corruzione in atti giudiziari, lui sostenne sin da principio che si trattava invece di un prestito a un’amica. A ragione, secondo i giudici di primo e secondo grado. Nel 2013 infatti Arnone fu assolto in primo grado dal Gup e poi alla fine nel 2015 assolto anche dalla Corte d’appello di Palermo che rigettò la richiesta di condanna a tre anni e quattro mesi dei pm agrigentini Di Natale e Fonzo. In un processo arrivò una condanna a tre mesi, poi riformata un solo mese in appello, per tentata violenza privata, quando i pm invece avevano ipotizzato anche in quel caso la tentata estorsione. I sopracitati Di Natale e Fonzo avevano anche indagato Arnone in altra circostanza, per poi chiedere l’archiviazione della sua posizione, disposta dal Gip, per una storia di presunta tentata estorsione ai danni del presidente della Regione, Rosario Crocetta, e del senatore del Pd, Giuseppe Lumia. Anche lì, oggetto del contendere erano le campagne mediatiche che Arnone avrebbe messo in atto se non candidato alle regionali.
L’avvocato, parlando con Beppe Lumia si diceva pronto a un attacco frontale tappezzando Agrigento di manifesti che accusavano il futuro presidente della Regione e lo stesso Lumia di voler boicottare la sua corsa per non scontentare i notabili Mirello Crisafulli e Angelo Capodicasa bersaglio delle sue battaglie. Reato? Niente affatto, visto che gli stessi pm chiesero di archiviare. Piuttosto, la cifra di un modus operandi originale, in cui la capacità di scatenare “casino” sui media diventa un asset non da poco da giocarsi al tavolo delle trattative.
Proprio a seguito di quella stessa vicenda, Arnone notificò un atto di citazione in giudizio per gli articoli pubblicati sul caso dal mensile S e da Livesicilia, prospettando una richiesta di 100mila euro di danni ma dicendosi pronto a una soluzione bonaria – a cui le nostre testate non furono interessate –, chiedendo a tal fine attenzione (anzi, testualmente “un recupero di attenzione professionale”) per le sue campagne politiche e per le sue denunce. Erano i mesi della campagna elettorale per le ultime amministrative di Agrigento (dove racimolò il 3 per cento dei voti). Un altro incrocio sui generis tra “attenzioni mediatiche” e quantificazione in danaro, insomma. Che ritornerebbe adesso, stavolta con un almeno presunto profilo penale, nelle vicende dell’avvocato-politico sempre sopra le righe. E sempre di un certo impatto mediatico. Come le sue iniziative più curiose, dalle apparizioni con cappello da sceriffo alle proteste contro le ruspe per gli abusivi nella Valle dei Templi lo scorso anno. E ancora il suo durissimo esposto al Csm contro Fonzo, le sue sferzate a Crocetta, i suoi attacchi all’attuale sindaco Lillo Firetto. Una forza mediatica che secondo l’ipotesi della procura di Agrigento, ovviamente tutta da dimostrare, sarebbe stata la contropartita della presunta estorsione per la quale l’avvocato-sceriffo è finito ora ai domiciliari.
Pubblicato il
16 Novembre 2016, 20:08