16 Giugno 2024, 07:25
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Un tardo pomeriggio di giugno. Il desiderio di andare oltre gli spazi che abitiamo nella quotidianità. Inoltrarsi nel centro storico di Palermo, nell’anima della città. In un mondo in cui la frenetica vita delle zone vicine sembra prendersi una sosta.
Le voci. Le ringhiere arrugginite. Le screpolature dei muri. I vasi con i fiori. Le finestre chiuse delle case abbandonate. Una piccola bicicletta appoggiata ad un muro, forse passatempo preferito di un bambino. Percorrendo queste strade sembra quasi di accedere ad una dimensione in cui il fluire del tempo appare più lento.
Anche i comportamenti delle persone sembrano essere in linea con questa diversa filosofia di vita: il gioco del calcio nelle piazze, i panni stesi sui muri esterni delle abitazioni, le sedie davanti alle porte delle case per prendere fresco e chiacchierare con i vicini.
Osservi la varietà umana che incroci: un vivace caleidoscopio tra immigrati, abitanti del quartiere che vi vivono da generazioni e quelli trasferitisi da poco a seguito di un parziale processo di riqualificazione della zona. I turisti felici di concedersi alla distrazione.
Ti inoltri tra i vicoli senza sapere esattamente quale direzione prendere. Ammiri i cortili che prendono vita negli spazi tra i palazzi nobiliari restaurati e i ruderi di vecchie costruzioni, la vegetazione spontanea aggrappata ai muri. Chissà se sarà ancora così tra cento anni.
Non appena giri l’angolo provi un’indefinibile emozione. Certi luoghi hanno un legame stretto con i sentimenti e a noi quel legame viene svelato ogniqualvolta vi ritorniamo.
Eccola: la Chiesa della Magione, il giardino antistante ed il portale barocco. Entri. Tre donne recitano l’Ave Maria. Senza fermarsi un attimo, in una dolce litania. Sono vestite di nero, a ciascuna di esse probabilmente la vita ha tolto qualcuno di importante.
Decidi di uscire, ti sembra quasi di violare il loro raccoglimento. Ti inoltri nel chiostro, con le sue arcate ed il pozzo al centro; induce al silenzio e alla meditazione e ti piace il senso di segretezza che emana.
La tua peregrinazione prosegue. Musei, palazzi, chiese: testimonianze delle anime dei diversi popoli che vi hanno abitato. La bellezza che ti circonda riesce sempre a sorprenderti.
Nell’Oratorio dei Bianchi sembrano quasi prendere vita gli angeli del Serpotta. A Palazzo Abatellis fa mostra di sé la Vergine Annunciata di Antonello da Messina. Immagini le vedove passeggiare lungo le mura delle Cattive.
Rifletti che il Genio, quell’uomo di mezz’età, con la barba, la corona e un serpente che gli azzanna il petto, lo hai ritrovato a Piazza Rivoluzione, nella fontana di Piazza Pretoria, alla Vucciria e a Villa Giulia. Sorridi al pensiero del gruppo di suore che nottetempo uscivano dal convento per coprire le pudenda delle statue nella fontana della Vergogna.
Poi, un altro luogo dei sentimenti: la Cappella delle Dame. A poca distanza, la casa del conte Cagliostro, quel Giuseppe Balsamo esoterista, veggente, taumaturgo, alchimista, forse truffatore.
Infine, oltre i campanili della Cattedrale, vedi stagliarsi Palazzo dei Normanni con all’interno “il capolavoro divino” della Cappella Palatina, come la definì Guy de Maupassant.
Quante storie ci sarebbero da narrare ancora, quante le memorie conservate nei palazzi, tra i vicoli, nelle piazze. Osservi alcuni edifici lasciati in balìa dell’ingiustizia del tempo e vi intravedi tracce della magnificenza di un’epoca passata.
Eppure, rifletti che quelle che appaiono come contemporanee rovine romantiche in realtà sono il manifesto di anni di ritardi ed inerzie delle amministrazioni pubbliche.
Centro storico è bellezza e fascino. Ma è anche abbandono, degrado, emarginazione. Luogo in cui lo Stato sembra talvolta non riuscire ad esercitare efficacemente la sua autorità; luogo di ghettizzazione di etnie, di spaccio, di sporcizia. Provi rancore per la bellezza aggredita, perduta, abbandonata.
E’ necessario attuare un processo di recupero di questi luoghi per permettere alla comunità di riappropriarsene e di vivere pienamente quegli spazi conferendo senso all’abitare quel luogo e non un altro. E’ stato detto e lo abbiamo ripetuto tante volte.
Certo, responsabilità delle amministrazioni pubbliche, ma anche di noi cittadini. Perché i primi custodi della bellezza siamo noi. La collaborazione è essenziale perché consente di integrare diverse prospettive e risorse.
Si parla tanto di “amministrazione condivisa” come modo per aiutare l’amministrazione a svolgere la propria missione istituzionale e far vivere la Costituzione attuando quel principio di sussidiarietà orizzontale per troppo tempo rimasto lettera morta.
Partecipare insieme ai soggetti pubblici alla esperienza di cura dei beni di tutti come se fossero propri è anche attuare una democrazia di qualità, un grande esercizio di responsabilità collettiva.
Cittadini attivi possono essere quelli che, attraverso patti di collaborazione, si organizzano per fare rinascere un’area verde abbandonata rafforzando in tal modo anche i legami di comunità, la coesione sociale, il senso di appartenenza.
O ancora, che si impegnano a mantenere pulite le aree antistanti le Chiese, i monumenti, gli edifici pubblici e privati del loro quartiere. O che si impegnano a fare da guide ai turisti attraverso le meraviglie dell’immenso patrimonio artistico e culturale.
Dobbiamo impegnarci a trasformare i luoghi di emarginazione, le aree dismesse, in spazi di riscatto sociale, in parchi urbani, in teatri all’aperto, in piazze di incontri e di scambi culturali. In luoghi sani e belli coinvolgendo giovani artisti, letterati, poeti, scrittori perché la cultura rinsalda il senso di appartenenza e di identità tra gli abitanti.
È ormai sera. Ti ritrovi sulla scalinata della Chiesa del Gesù, Casa Professa. Ti sembra di scorgere Padre Pirrone salire i gradini nell’attesa che don Fabrizio consumi il tradimento coniugale con la giovane Mariannina.
Senti delle voci. Accanto ad una roulotte due ragazze parlano amorevolmente ad una donna; sembra guardare in un punto lontano, probabilmente si trova sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. Le chiedono se desidera avere accorciati i lunghi capelli che le cadono sul viso.
Questo non è un romanzo, è realtà. Si tratta di volontari che con pazienza e dedizione spendono parte del loro tempo per portare conforto agli ultimi, a quelli di cui il mondo talvolta sembra dimenticarsi. Altro straordinario esempio di come il terzo settore possa contribuire alla costruzione di una società più inclusiva e solidale.
Palermo è anche questo, Palermo è molte cose: opportunità mancate, problemi irrisolti, inadeguatezza delle infrastrutture, criminalità; ma anche patrimonio artistico e culturale, solidarietà, accoglienza. E tanta umanità.
E’ quest’ultima la città che vorremmo. Per chi ci vive. Ma anche per chi se ne va e decide di ritornarci.
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16 Giugno 2024, 07:25