20 Marzo 2024, 05:01
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CATANIA – Quasi un anfratto “urbanisticamente naturale” (anche a costo di sembrare una contraddizione in termini) che è da sempre sotto l’egida criminale del clan Cappello-Bonaccorsi. Il quartiere di San Cristoforo con le sue viuzze, quei nuovi cortili chiusi sfuggiti persino al censimento della mappatura comunale, l’edificazione di vere e proprie cinte murarie è il luogo ideale per un’attività di spaccio della droga protetta dalle vedette: fisse, ovvero di pattuglia in strada o in alternativa affacciate alla finestra oppure dinamiche, cioè in moto perpetuo per il quartiere a tutela dei propri sodali.
Un’area, quindi, facilmente controllabile. Dove con un’opportuna organizzazione, si può segnalare con estrema facilità agli spacciatori nella via e con un buon margine d’anticipo l’eventuale arrivo delle forze dell’ordine.
L’Operazione condotta all’alba di ieri dagli agenti della Questura etnea e che ha portato all’emissione di 41 misure cautelari, ha quasi una valenza storica. Basta prendere in prestito le parole pronunciate in conferenza stampa dagli investigatori: “Da circa vent’anni non si interveniva in modo così energico in quei luoghi”.
Un’inchiesta che muove anche dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Salvatore Castorina, Sebastiano Sardo e Carmelo Listro. Da qui arrivano le indicazioni, tutte convergenti, sulla piazza di spaccio del “Locu”, alla sua riconducibilità agli interessi del clan Capello, e le relative figure apicali che vi esplicano ruoli direttivi e di coordinamento nel periodo di interesse.
A gestire la piazza di spaccio era il 48enne Nicola Tomaselli. Dal racconto dei collaboratori di giustizia emerge un giro d’affari che fatturava quotidianamente cifre che vanno dai 15 ai 20 mila euro al giorno “facendo un calcolo approssimativo in base ai quantitativi di cocaina che smerciavano”. “Un giorno, parlando con uno dei suoi uomini, tale Giovanni (fratello di tale “Peppale” di cui non ricordo il cognome, entrambi operativi nel quartiere in questione) i cui genitori abitano in via Testulla, questi mi diceva che la piazza smerciava circa 300, 400 grammi di cocaina al giorno che rivenduta al dettaglio fruttava cifre considerevoli. Peraltro il Tomaselli era collaborato da diverse vedette e pusher quindi aveva spese significative da sostenere, pari a circa 1000-1500 euro al giorno solo per pagare i “turnisti” che operavano giorno e notte”.
Dell’indagine fa parte anche quel Rocco Ferrara già in carcere per i fatti legati al duplice omicidio di Librino e che assieme a Giovanni Agatino Distefano, Renè Salvatore Distefano, Domenico Querulo e Filippo Crisafulli consolida quel vincolo associativo di stampo mafioso legato, per l’appunto, ai “Cappello-Bonaccorsi” attraverso una suddivisione in “gruppi” operanti nelle diverse zone: un gruppo impostosi sul territorio con ampia autonomia decisionale seppure organicamente inseriti nel clan.
Scrive nel faldone da oltre mille pagine il Gip, Simona Ragazzi: “Nell’ambito della quale associazione essi si avvalevano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva, per commettere una serie indeterminata di delitti contro la persona, quali gli omicidi, perpetrati al fine di mantenere i rapporti di forza sul territorio, di tutelare i membri della consorteria, nonché per espandere il proprio predominio criminale, delitti contro il patrimonio (rapine, furti ed estorsioni), delitti connessi al traffico illecito di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish, e ciò per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, autorizzazioni e di appalti pubblici e per realizzare, comunque, profitti o vantaggi ingiusti”.
Nel contesto del vincolo associativo e di una condivisione più ampia di investimenti e di guadagni, significativa è la conversazione registrata in nel maggio del 2021 in occasione di un incontro svoltosi nel quartiere di Librino, all’interno del parcheggio dell’ospedale San Marco, tra Domenico Querulo, Biagio Querulo e l’acquirente di sostanza stupefacente del gruppo criminale Salvatore Di Maggio conosciuto come “Totò”.
Durante l’incontro Domenico Querulo, utilizzando costantemente li pronome personale plurale “noi”, riferiva all’acquirente che il loro gruppo era formato da cinque persone “allippate sopra a me”, intendendo inequivocabilmente che li denaro provento dell’attività di traffico di sostanze stupefacenti del gruppo veniva spartito tra cinque persone, peraltro ribadendo li suo ruolo di vertice indiscusso del gruppo: “Tu lo puoi dare a quanto vuoi (intende che quell’hashish lo può rivendere a prezzo molto maggiorato, ndr)…noi siamo a mani di nessuno…noi abbiamo 5 persone “allippate” sopra a me!”. Come dire, appunto: dividiamo in cinque quello che incassiamo.
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20 Marzo 2024, 05:01