30 Gennaio 2014, 06:00
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PALERMO – Il “prefetto di ferro” fa sul serio. Ma ama la battuta. Al Commissario non piacciono le polemiche, le urla. Ma adora la musica lirica. E in questa sinfonia di contraddizioni tiene “impugno” la Sicilia. Carmelo Aronica non va a Roma. Non si siede al tavolo dei governi che cercano una soluzione dopo il ko della Finanziaria siciliana. E la scelta di non muoversi coincide con quella di tenersi a distanza di sicurezza dalla politica. In quel luogo di terzietà che è l’unico possibile per chi esercita la sua funzione. Quella di verificare l’aderenza alla Costituzione delle norme approvate dal Parlamento siciliano. Questo il ruolo di Aronica. Finché sarà al suo posto.
Già. Perché la decisione del prefetto non piacerà molto al governo di Letta. Che stamattina ha messo in campo ben due ministri e un gruppo di alti funzionari del ministero dell’Economia. Alla fine del vertice che avrebbe dovuto sciogliere i nodi della Finanziaria regionale, la “convocazione”. E il gran rifiuto. Un rifiuto all’esecutivo nazionale, quindi. Lo stesso organo che ha avuto il compito (altre facce, altri colori, ovviamente) di inviare Aronica in Sicilia. Lo stesso organo – è formalmente il Presidente della Repubblica che firma l’atto di nomina, ma dopo deliberazione del Consiglio dei ministri – che lo scelse come prefetto di Viterbo. Lo stesso organo che decise di sostituirlo, dopo meno di un anno. Sembrava non fosse troppo simpatico ai potenti.
Eppure, chi lo conosce sottolinea proprio la simpatia del prefetto che traspare un po’ dal sorriso beffardamente coperto dai baffi. “Aronica – racconta ad esempio l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo – massacrò una mia Finanziaria. Ma i rapporti personali sono sempre stati buoni. Il Commissario ama scherzare, ha la battuta pronta”. Sono in tanti a confermare la vena ironica del prefetto di ferro. Un’ironia che affonda, probabilmente, nella sua terra d’origine: Campobello di Licata, nell’Agrigentino, dove Aronica è nato il 14 febbraio di 63 anni fa.
Sposato, due figli, si è laureato in giurisprudenza a Catania. Ma la sua carriera è al momento racchiusa dalla parola “commissario” e dalla città di Palermo. Tra i primi ruoli ricoperti, infatti, ecco quello di commissario della Polizia di Stato nel capoluogo siciliano. Circa 25 anni dopo, eccolo ancora a Palermo, ma con l’incarico di Commissario dello Stato. In mezzo, esperienze nel settore della Protezione civile, svolte soprattutto a Firenze dove arriva come consigliere di prefettura e dove farà carriera fino a raggiungere la nomina a prefetto.
E Firenze pare essere rimasta nel cuore di Aronica, che ha deciso di tenere casa lì, dove torna appena può. Nel 2003 invece viene nominato prefetto di Macerata, tre anni dopo ecco il ritorno in Toscana: Aronica è il nuovo prefetto di Lucca. Lì resta fino al gennaio del 2010 quando viene inviato a Viterbo. Un’esperienza, quest’ultima, che si concluderà in meno di un anno. Aronica, sussurra qualcuno, non era più “gradito” a qualche potente. Ma quella avventura improvvisamente breve, riapre ad Aronica le porte della Sicilia.
Il Consiglio dei ministri lo invia a Palermo, nella sede di Piazza Principe di Camporeale. È il nuovo Commissario dello Stato per la Regione siciliana. Una figura unica in Italia e riconosciuta dagli articoli 8, 27 e 28 dello Statuto siciliano. E nella “sua” Isola, Aronica certamente non si fa intenerire. Nonostante l’attuale presidente Crocetta, infatti, abbia denunciato appena pochi giorni fa il comportamente improvvisamente “intransigente” del Commissario, le cronache raccontano tutt’altro.
“Massacrò una mia Finanziaria” ricorda infatti ancora oggi Raffaele Lombardo. Un’impugnativa, quella del maggio del 2012, che cassò la bellezza di ottanta commi affossando la legge del governatore di Grammichele. E che aprì alla stagione del “rischio default” per la Sicilia. A dire il vero, tra il 2011 e il 2012, Aronica bocciò una marea di provvedimenti: da numerosi articoli della “legge sugli appalti”, passando agli interventi pesanti sul ddl Formazione, su un mutuo da mezzo miliardo che avrebbe dovuto pagare gli stipendi di Forestali e dipendenti Esa, al ddl sul credito d’imposta, a quello che tentava una temeraria stabilizzazione dei precari degli Enti locali.
Un martellamento, quello del Commissario, che portò addirittura l’Mpa in piazza. Piazza Principe di Camporeale, per l’appunto. A chiedere l’abolizione della figura del Commissario dello Stato. Allora, come oggi. Con un presidente nuovo, che afferma di rompere col passato. E che rilancia le tesi di quel passato: “Via il Commissario”, ha chiesto Crocetta nelle ore più calde del post-impugnativa. Suscitando una misurata reazione. Un invito a pesare le parole. A evitare le sceneggiate e gli schiamazzi.
Del resto, il Commissario dello Stato ama l’arte della “sua” Firenze, e la musica lirica. E ama la battuta. Ma forse è meglio non farlo innervosire. Lo Statuto siciliano, d’altra parte, tanto rivendicato da chi lo vorrebbe fuori dai piedi gli concede due poteri, non proprio secondari: quelli di sciogliere l’Assemblea regionale. E quello di chiedere la revoca del presidente della Regione. E così, il Commissario che fu Commissario già 25 anni fa, tiene “impugno” la Sicilia.
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30 Gennaio 2014, 06:00