08 Settembre 2018, 16:09
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Ci vuole coraggio. In questi tempi di forche virtuali e pensieri liofilizzati, ci vuole coraggio persino per ricordare che esistono dei diritti che vagamente oggi definiremmo “umani”. Quei diritti su cui si fonda la nostra libertà.
Quel coraggio, però, qualcuno ce l’ha. Prendi Claudio Fava. Ci vuole coraggio, per uno come lui, per assumere le difese non tanto di Totò Cuffaro, quanto del diritto di un Totò Cuffaro di raccontare, anche pubblicamente, anche in una sala del parlamento siciliano, la sua storia di detenuto “eccellente”. Ci vuole coraggio, per uno come Fava. Per chi, cioè, alla parola mafia ha aggiunto peso, storia e “carne”, molto più di quanto oggi potrebbero fare novelli giustizialisti. Per chi avrà imbottito quella parola di dolore e rabbia. Ci vuole coraggio per dire, per uno come Claudio Fava che sì, anche una persona condannata per avere favorito la mafia, dopo avere scontato la sua pena, può raccontare quell’esperienza. Lo possa fare liberamente. E con la libertà di riaffermare, magari, di “essere andato a sbattere contro la mafia” come in qualche modo, a torto o a ragione, raccontò Totò Cuffaro.
E ben venga il coraggio, in tempi in cui il pensiero va sempre più in basso, ma mai in profondità. Ma resta lì, sulla superficie dell’ignoranza, spesso. Della rabbia, a volte. Della frustrazione. E purtroppo anche del cinico calcolo politico. Ben venga il coraggio di Claudio Fava, insomma. Che non significa in nessun modo “assolvere” chi è già stato condannato. Che non significa “dimenticare” ciò che non va dimenticato. Ma che richiama a una necessità che è persino precondizione a ogni atto politico: quella di non perdere il senso dell’uomo, dell’umano e dei suoi diritti. Come quelli ad esempio sanciti da quella Costituzione che un po’ di mesi fa era sacra per tanti e che oggi sembra buona per fare rotoli da bagno, tra le sparate giustizialiste e la confusione sulla divisione dei poteri.
Ci vuole coraggio, insomma. E non solo per l’uomo Fava, presidente di una commissione regionale antimafia, e già componente di quella nazionale. Ci vuole coraggio anche per quello che è un politico “di sinistra”, che negli anni dell’ascesa di Cuffaro, fino alla prima elezione a governatore, guidò quello che era il maggior partito di centrosinistra in Sicilia, e che con quel sistema si è magari scontrato tante volte. Più di quanto abbiano mai fatto tanti “scandalizzati” uomini politici che in quegli anni erano a fare altro. Ci vuole coraggio, oggi, in questi tempi di ragionamenti omogeneizzati, anche a costo – prevedibilissimo, in qualche caso – di essere additati come “amici”, compiacenti, simpatizzanti della mafia o del malaffare. E ben venga anche il coraggio di Antonello Cracolici che a Cuffaro non ne risparmiò, in tempi non sospetti. Anche lui, a dire che “Cuffaro deve avere il diritto di parlare”.
Di parlare. Cioè di raccontare, come previsto dal convegno “dello scandalo”, la propria esperienza di detenuto. Che, va da sé, difficilmente potrà essere descritta da un incensurato. E così, ecco gli strali del grillino Cancelleri e di altri esponenti del Movimento, che ovviamente poggiano sulla parola “mafia” e sulle ragioni di “opportunità” che tornano buone un po’ per tutto. O quasi. Non certamente per evitare, a proposito di grillini e opportunità, che politici rinviati a giudizio per reati elettorali possano essere stipendiati dalla stessa Assemblea regionale (cioè dai siciliani). Ne’ tornano buone, quelle ragioni di opportunità, proprio in questi giorni, per obbligare un partner politico come il Ministro dell’interno a rientrare nei confini dell’amata Costituzione, ricordandogli cosa sia il concetto di separazione dei poteri. E che la frase rivolta ai pm: “Io sono stato eletto, loro no”, non è solo una stupidaggine, ma è una doppia stupidaggine. Perché suggerisce persino quell’interrogativo: “Se gli italiani negli ultimi decenni hanno votato per questi politici, cosa sarebbe successo se avessero eletto pure i magistrati?”. E verrebbe da chiedersi dove era Cancelleri e qualche altro giustizialista di professione quando proprio lì, proprio di fronte il Palazzo dei Normanni e poi altrove, il suo leader di partito di quegli anni, tra contorsioni e derapage retorici, poteva dire che in fondo “la mafia aveva una morale”, che “la mafia non esiste più” e “che non metteva bombe e non scioglieva bambini nell’acido”.
La mafia, già. L’opportunità, la morale troppo spesso doppia o tripla. Ci vuole coraggio. Anche, a pensarci bene, per uno come Totò Cuffaro che non è vittima e non ha invitato, fino a oggi, ad alcun revisionismo. Eppure ci vuole coraggio per accettare un invito che comprendeva un orizzonte di polemiche e insulti. Ci vuole coraggio (qualcuno ovviamente lo definirà ‘sfacciataggine’) per ripresentarsi lì, tra quelle sale, da potente decaduto. Da sconfitto, in fondo. Magari tra chi (anche metaforicamente), da quel “sistema politico” ha ricevuto solo benefici senza pagare pegno, a raccontare, tra il garante dei diritti dei detenuti e il direttore di un carcere, la storia di sé carcerato, e la storia di tanti carcerati come lui. La storia di una caduta, l’avrebbe forse definita Camus. In questi anni bui, in questi anni tetri, nei quali serve coraggio persino per ricordarci su cosa si fonda la nostra libertà.
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08 Settembre 2018, 16:09