23 Settembre 2010, 17:21
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di GIUSEPPE E. DI TRAPANI Il 5 settembre scorso, intorno alle 20.30, in via Cimabue 41 a Palermo, in zona Uditore, è stato ucciso in circostanze non ancora chiarite un residente del palazzo, il settantenne Silvio Pellicanò. Bisogna tornare sul luogo del delitto per intrecciare i nodi di questa trama complicata. Tornare e guardare i volti delle persone e toccare con mano lo sbigottimento che resiste allo scorrere del tempo. La scena è normale: persone con la spesa, mamme che accompagnano i figli nella scuola vicina. Ecco il portiere.
Sui giornali, nei giorni successivi all’uccisione di Silvio Pellicanò, è apparsa una dichiarazione dello stesso portiere che la sera del 5 settembre non era in casa. Massimo Carcione, questo è il suo nome, avrebbe dichiarato: “Come mai è stato colpito proprio nell’unica sera in cui io non ero in casa? L’omicidio è stato proprio davanti casa mia. Noi in estate ceniamo spesso fuori, in cortile. Magari invitiamo qualche amico, restiamo a chiacchierare fino a tardi. E se fossimo stati fuori? Avrebbero sparato lo stesso?”. Un’affermazione che lascia presupporre il sospetto di un “piano” degli aggressori per attentare alla vita della vittima. “Sono stato un po’ frainteso”, precisa il signor Carcione.
Il portiere da quasi due decenni lavora in via Cimabue, dov’è anche residente, a pochissimi metri dal luogo in cui è stato ammazzato Silvio Pellicanò. Abita in un appartamento a piano terra: proprio davanti ai suoi occhi, a quelli della sua famiglia e soprattutto a quelli della sua piccola figlia si sarebbe potuto consumare l’omicidio. Era questa preoccupazione che animava, e anima tuttora, la mente custode: il timore per la possibilità che i suoi cari possano a ogni istante vivere una tragedia così atroce.
Sono immerse nel dolore la moglie, le quattro figlie deella vittima e i parenti ed amici più stretti. Parallelamente, negli altri, nei vicini come negli abitanti della zona resta la preoccupazione per ciò che è successo e lo stupore per questo delitto rimasto senza spiegazione. Erano da poco tornati dalla Calabria i Pellicanò: per questo motivo gli investigatori si sono rivolti anche in quella direzione. Si è poi supposta la pista di una possibile lite condominiale: rancori tra vicini avrebbero potuto costituire un movente. Il custode del complesso nega decisamente questa ipotesi, descrivendo il condominio come un luogo tranquillo, “Un posto sereno, certo la gente ha un po’ paura” – dice Carcione – comune a tanti altri, in cui esistono pure le divergenze tra condomini, ma che non potrebbero mai esplodere in quella maniera.
Il portiere ha un’idea e racconta della preoccupazione dei residenti per la sempre più scarsa sicurezza in via Cimabue. Da quando infatti è stato aperto il collegamento con via Bernini, realizzato da circa un anno a questa parte, nella zona si è iniziato a registrare un numero sempre maggiore di crimini: tentativi di scippo in pieno giorno, furti di automobili parcheggiate. La struttura del complesso condominiale di via Cimabue poi, secondo lo stesso custode, mal si presta a una adeguata protezione: troppo grande, accessibile da più parti, senza che lui stesso dalla sua guardiola possa tenere tutto sotto controllo.
Rimangono i dubbi, rimangono parecchi interrogativi sul delitto. Perché, in un ipotesi di tentativo di rapina, gli aggressori si sarebbero presentati armati di pistola? Solitamente, per queste cose si ricorre ad altro tipo di arma: coltello, siringa o cacciavite i più noti. Se fosse questo il movente, si dovrebbe sospettare di una microcriminalità che sta avendo accesso a simili armi, sproporzionate per potenza rispetto all’obiettivo. Il delitto non si è consumato per strada, ma all’interno dello stabile, nell’atrio comune dei box e del giardino condominiale: perché gli aggressori si sarebbero dovuti esporre così tanto, alla vista di tanti potenziali testimoni abitanti del condominio? Domande ancora senza risposta queste, alle quali stanno lavorando per la loro risoluzione gli investigatori.
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23 Settembre 2010, 17:21