31 Marzo 2015, 06:00
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PALERMO – “La Sicilia mi mette in imbarazzo. Da lì arrivano molte lamentele. Se il governo regionale vuole una mano, noi siamo pronti ad aiutarlo”. L’ombra di un nuovo “commissariamento” si allunga persino sui Beni culturali siciliani. Le parole sono del ministro Dario Franceschini. E rappresentano l’ultima “stoccata” all’esecutivo di Rosario Crocetta. Un governo che fino a pochi mesi fa sembrava voler “rivoluzionare” anche il settore del turismo culturale siciliano: “Via i privati, e spazio ai precari siciliani” aveva tuonato Crocetta. Prima, ovviamente, di tornare sui suoi passi. Nell’ultima Finanziaria, infatti, l’indirizzo è esattamente opposto: “Bisogna dare spazio ai privati”. E molti di questi, a dire il vero, sono pronti a presentare a Palazzo d’Orleans un conto salatissimo: un risarcimento per essere stati estromessi illegittimamente – come ha spiegato la Corte costituzionale – dalla gestione dei siti archeologici per le Province di Agrigento, Trapani, Palermo, Messina e Siracusa, dopo aver vinto dei regolari bandi pubblici.
Il ministro alla Cultura è intervenuto durante un programma di Rai Storia. “La Sicilia – ha detto – per me è una sofferenza e un imbarazzo. Perché, purtroppo non tutti lo sanno, ma io, nel senso del mio ministero e del mio governo nazionale, non ho nessuna competenza in Sicilia, perché per gli accordi costituzionali Stato-Regione a Statuto Speciale la proprietà di tutti i beni culturali è della Regione. La tutela, le stesse soprintendenze, dipendono dalla Regione, le politiche turistiche, ovviamente, dipendono dalla Regione, quindi è un imbarazzo perché spesso ricevo proteste per cose che non posso fare”.
L’autonomia assegna al governo regionale la “potestà” sulla gestione dei siti culturali. Una potestà, evidentemente usata male, malissimo. “C’è – ha aggiunto Franceschini – la totale disponibilità a collaborare con la Regione Sicilia perché le potenzialità sono infinite, sono enormi: stanno in particolare in sud Italia, in Campania, in Sicilia. Davvero, pensare che lì si unisce la bellezza del mare e la bellezza del paesaggio a un patrimonio incredibile, e vedere quel numero di turisti così limitato fa molta rabbia”.
La rabbia di Franceschini è nei numeri. Numeri impietosi, in effetti. Che hanno trovato posto anche nell’ultimo documento di programmazione economico e finanziaria firmato dall’assessore all’Economia Alessandro Baccei. La Sicilia, scrive l’economista inviato da Roma, è appena la nona Regione in Italia per numero di presenze turistiche (registra circa un quinto delle presenze registrate nel Veneto), mentre è terz’ultima come “tasso di turisticità”, cioè il rapporto tra presenze negli hotel e popolazione residente. Un problema che oggi investe sia l’assessorato ai Beni culturali (adesso guidato da Antonino Purpura) sia quello del Turismo (adesso in mano a Cleo Li Calzi). Nel Dpef di Baccei, però, ecco anche le note liete: “Nonostante la grave crisi in cui versa l’economia isolana, – scrive – la Sicilia può vantare un considerevole posizionamento turistico nel panorama internazionale. Il brand Sicilia infatti gode di una notevole percezione e riconoscibilità grazie all’ineguagliabile patrimonio paesaggistico, artistico e culturale. Da qui l’esigenza di sostenere le imprese turistiche che si presentano oggi come soggetti privilegiati in grado di attrarre cospicui introiti dall’estero”. Un “brand” che invece, stando alle parole del ministro, non sembra funzionare granché. Parole che sono state “sottolineate” oggi sulla prima pagina de La Sicilia anche dallo scrittore Ottavio Cappellani: “In Sicilia si preferisce gestire in proprio, e male, il turismo culturale, che, nelle intenzioni e nei proclami dovrebbe rappresentare il volano per la ripresa della nostra economia”.
E la gestione del turismo culturale ovviamente fa rima con “musei” e parchi. Lasciati spesso a se stessi, anche a causa di scelte amministrative che recentemente hanno subito la censura persino della Corte costituzionale. Il caso è quello delle gare per i “servizi aggiuntivi” nei maggiori siti siciliani, bandite nel 2010, aggiudicate nel 2012 e fermate dal governo Crocetta alla fine del 2013: quelle gare, secondo il presidente, erano viziate dall’assenza di una norma sugli appalti. Una norma regionale approvata due anni prima e che, secondo Crocetta, doveva rappresentare un argine alla possibile infiltrazione di Cosa nostra e della criminalità organizzata in quel settore. Così, gli affidamenti sono stati sospesi. Ma quella norma, come detto, per la Corte costituzionale è illegittima. E adesso i privati stanno seriamente pensando a una richiesta risarcitorio che potrebbe essere milionaria.
“Con le gare per la gestione dei servizi museali – hanno denunciato gli ex assessori ai Beni culturali Gaetano Armao e Uccio Missineo – era stata avviata un’iniziativa per rilanciare i beni culturali siciliani attraverso un’offerta di qualità, chiudendo una pagina di gestione abusiva degli incassi dei biglietti, attraverso il coinvolgendo della migliore imprenditoria italiana del settore. L’annullamento delle procedure nel 2013 ha provocato un gravissimo danno poiché ha impedito che i siti fossero affidati a chi gestisce il Colosseo o gli Uffizi. Calcoliamo – hanno aggiunto – che i posti di lavoro perduti siano 300 tra diretti e indotto, circa 6 milioni di euro di fatturato nei servizi aggiuntivi vanificati, un flusso per l’erario di circa 5 milioni di euro smarrito per miopia e convenienza politica. E questo senza contare che il privato avrebbe aperto e valorizzato siti spesso chiusi o in degrado”.
Erano i giorni successivi allo scandalo “Novamusa”. Un’inchiesta della magistratura aveva fatto emergere il ruolo di Gaetano Mercadante, il titolare dell’azienda. Per l’accusa, quest’ultimo avrebbe “intascato” anche la parte degli introiti della Regione dovuti alla vendita dei biglietti nei siti culturali. Da lì, come detto, l’intervento del governatore, che ha fermato tutto. Per due anni. Ventilando (o minacciando) l’invio dei precari siciliani nei musei. Adesso, in Finanziaria si prova a correre ai ripari. E come al solito, il rimedio somiglia a una marcia indietro. Un comma dell’articolo 30, infatti, punta a “dare attuazione – si legge nella relazione finanziaria che accompagna la legge di stabilità – a tutte quelle disposizioni che prevedono una forma di coinvolgimento dei privati nella valorizzazione e gestione dei beni culturali. La norma – prosegue la relazione – in particolare mira a dare il necessario supporto regolamentare alle politiche di ‘apertura ai privati’ che informano le riforme introdotte dal ministro Franceschini”. Lo stesso ministro che pochi giorni fa ha ammesso: “La gestione del turismo in Sicilia mi fa rabbia. Se il governo ha bisogno di una mano…”.
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31 Marzo 2015, 06:00