31 Ottobre 2010, 02:09
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A un medico chiediamo la salute, la salvezza del corpo. Se ciò non è possibile, pretendiamo che ci siano almeno concessi il sollievo del dolore e la custodia della vita fino al’ultimo respiro. Il rapporto con colui che dovrebbe essere garante delle nostre richieste ultime è delicato e frangibile. Volentieri gli affidiamo la nostra labilità, ma ci sentiamo smarriti quando scopriamo, per esempio, che il bravo medico non è un uomo vero, non si comporta da tale. L’alambicco della scienza con le sue soluzioni terapeutiche è necessario. Lo è ancora di più l’umanità di un camice bianco, il rifugio dove deporre le due colonne infami della sofferenza: il dolore per il dolore che passerà, il dolore per il dolore che ti costringerà a trapassare.
Noi, nelle reiterate esperienze di malasanità che denunciamo, scorgiamo non tanto e non immancabilmente il segno di un’insipienza tecnica. Ci vediamo di più un abbassamento della soglia dell’umano. Nel tempo della sanità votata al profitto o al pareggio del bilancio, i pazienti sono numeri. Nessuno ha mai versato lacrime per la morte di una moltiplicazione. I dottori hanno perso – alcuni di loro, si intende – lo sguardo di compassione, della sofferenza condivisa che non è in contraddizione col raziocinio della cura. Si sono trasformati in burocrati delle malattie. Si difendono, poverini, dai ricorsi, dalle pressioni politiche. dai tagli. Hanno a cuore la corretta compilazione del cruciverba. Ogni tassello al posto giusto. Se la parola richiesta dal Bartezzaghi drammatico in corsia sia “vita” o “morte” è quasi irrilevante. L’importante è pararsi. Errore irrimediabile.
E’ l’attenzione gentile la spinta non emendabile. E’ l’idea della missione che ti fortifica. E’ la consapevolezza di un ruolo che, quando ha smarrito il filo delle cure, si compie accompagnando il paziente verso l’inevitabile. Medico, cioè angelo custode. Cioè nocchiero valoroso. Mai topo che abbandona la nave. Siamo idealisti? Lo siamo sempre di più. Pensiamo a una riforma con queste caratteristiche: con la strada e lo spirito del camice bianco al centro di tutto, con la sottolineatura dell’etica di Ippocrate e dei suoi seguaci. Il resto è un riflesso superfluo.
Ma le nostre sono solo aspirazioni piissime. L’ultima storia di malasanità lo dimostra. Gli ospedali sono formicai impazziti. Si sono affievoliti gli sguardi. La sottrazione di umanità provoca meno rigore e dunque più errori. Esattamente il contrario di ciò che la burocrazia auspicherebbe. E’ una spirale destinata a travolgere i residui di solidarietà e fiducia. Che fare? Livesicilia fa quello che sa: raccontare. Riprendiamo tre storie trascorse di buona o cattiva sanità (non tralasciando, come quarto episodio, la triste cronaca) e le riproponiamo ai nostri lettori, affinché leggano e, se vogliono, meditino. Si incontrano medici bravi, pietosi, negli ospedali. Se ne incrociano altri duri come lastre di marmo. La sanità siciliana è una roulette con la sorte. E’ sempre colpa di un assessore?
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31 Ottobre 2010, 02:09