15 Aprile 2016, 17:36
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PALERMO – Alla lettura della sentenza Gaetano Cinà sviene in aula. Lo soccorrono i sanitari del 118. La corte d’assise d’appello lo ha appena condannato a 14 anni di carcere. Stessa pena per il figlio Massimiliano Cinà. Un altro figlio, Francesco, è stato assolto. È difeso dall’avvocato Toni Palazzotto.
Il processo era quello per il duplice omicidio di Vincenzo Chiovaro e Antonino Lupo, massacrati a coltellate nella piazza del Borgo Vecchio, a Palermo il 23 aprile 2002. Accogliendo la tesi degli avvocati Palazzotto, Marco Clementi e Giuseppe Farina, la Corte non ha creduto al testimone Fabio Nuccio e ai pentiti Giovanna Galatolo e Francesco Chiarello e ha inviato gli atti in Procura affinché valuti se procedere per falsa testimonianza.
Dunque, alla fine, ma lo sapremo solo leggendo le motivazioni della sentenza, dovrebbe avere retto il racconto di Cinzia Giudice, arrestata anni fa per droga. Fu lei per prima a dire che Lupo e Chiovaro rubavano motocicli e poi chiedevano denaro per la restituzione. La violenza sarebbe esplosa, così raccontò, per il furto subito da Massimiliano Cinà che era andato a chiedere spiegazione ai due. Solo che, temendo la loro reazione violenta, Cinà avrebbe preso il coltello di un pescivendolo e avrebbe colpito Chiovaro. Il padre, invece, ferì a morte Lupo. Nel racconto della donna non compariva Francesco che oggi è stato assolto.
Questa versione era simile a quella di Nuccio che, però, coinvolgeva anche Francesco Cinà. Solo che, chiamato a ricostruire in aula i fatti, Nuccio, in cura con degli psicofarmaci, non ricordava quasi più nulla e anche quello che prima diceva di aver visto con i suoi occhi come l’arrivo dei Cinà e la loro fuga diventò solo una “percezione”.
Chiarello, invece, disse i Cinà avrebbero punito con il sangue le molestie delle due vittime nei confronti della figlia di Massimiliano Cinà. C’erano molte discrepanze, però, tra la dinamica dei fatti raccontata da Chiarello e i rilievi della scientifica.
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15 Aprile 2016, 17:36