17 Gennaio 2018, 13:26
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CATANIA – Una lunga lista di pentiti, alcuni anche ex uomini d’onore di Cosa nostra palermitana. Si apre un nuovo capitolo investigativo sull’inchiesta del duplice delitto delle Acciaierie Megara. Gli inquirenti di Catania dovranno risentire ed esaminare i collaboratori di giustizia che sanno qualcosa dell’omicidio, rimasto uno dei gialli irrisolti a Catania, degli imprenditori Alessandro Rovetta e Francesco Vecchio, rispettivamente amministratore delegato e direttore del personale dell’azienda catanese. I due furono crivellati di colpi nel 1990.
Dopo 18 anni potrebbe, forse, finalmente esserci una svolta nell’inchiesta che la Procura aveva chiesto al Gip di archiviare. Il presidente dell’ufficio Gip di Catania Nunzio Sarpietro ha ordinato un’integrazione delle indagini per altri sei mesi e ha restituito gli atti al pm. Una piccola vittoria per i familiari delle due vittime che da quasi tre decenni aspettano di poter avere una verità (almeno processuale sul delitto). Non ci sarà invece nessun nuovo accertamento tecnico sul fatto di sangue. Il Giudice ha inoltre accolto alcune delle richieste formulate nell’opposizione all’archiviazione dall’avvocato Angelo Mangione.
Tre le piste che si sono aperte ascoltando alcuni collaboratori di giustizia. La prima porta al clan Santapaola- Ercolano. “Un’ipotesi – scrive il Gip – che si baserebbe sulle rivelazioni del collaboratore di giustizia Maurizio Avola, che però lo stesso Pm ritiene non completamente riscontrate, soprattutto per quanto riguarda la individuazione degli esecutori materiali del duplice omicidio”.
La seconda pista porta direttamente alla cupola palermitana. C’è un pizzino scritto da Bernardo Provenzano e indirizzato a Luigi Ilardo, cugino del capo della famiglia di Caltanissetta Giuseppe Madonia ucciso nel 1994. Il padrino di Cosa nostra avrebbe ordinato all’infiltrato Ilardo di “definire, tramite tale Vinciullo, il “discorso della ferriera”, ossia della Acciaieria Megara di Catania, prendendo i necessari contatti con Antonio Motta e Concetto Di Stefano (due personaggi di altissimo livello della cupola dei Santapaola-Ercolano degli anni ’90, ndr)”. Ma scavando in questa direzione la Procura ha trovato collegamenti molto forti tra Palermo e le Acciaierie Megara di Catania. Legami che vanno oltre pizzini e messaggi da decriptare. È’ il fratello di uno degli imprenditori uccisi a fornire l’input. “La famiglia Rovetta – si legge ancora nell’ordinanza del Gip – aveva una acciaieria che si trovava nella zona di Campofelice di Roccella, che poi venne chiusa; il terreno in cui sorgeva l’acciaieria sarebbe stato adatto allo svolgimento di attività turistiche poiché situato sulla costa. Il padre gli avrebbe mostrato un progetto per costruire una struttura alberghiera, rivelandogli anche che al progetto era interessato Silvio Berlusconi”. Il progetto non fu mai realizzato in verità. “Dopo il duplice omicidio fu conclusa una trattativa tra la Megara e tale Cinà”. Ci sarebbe stato anche un preliminare con la consegna di un assegno di un miliardo delle vecchie lire. Poi il contratto non venne mai firmato perché Cinà fu arrestato e la caparra rimase nella disponibilità della Megara. Il fratello della vittima inoltre ha riferito ai magistrati che la “moglie di Rovetta” gli avrebbe raccontato che il marito “nutriva forti preoccupazioni per quel terreno”. Il Gip pone un punto fermo: “Si può affermare pacificamente che la Megara e i Rovetta si trovavano al centro di un pericolosissimo intreccio di interessi mafiosi con il coinvolgimento di “Cosa nostra palermitana”.
La terza direttrice investigativa invece porta agli Sciuto. E’ Giuseppe Ferone, il pentito assassino, a dare questa chiave di lettura del delitto. Fa nomi e cognomi e parla di un appalto conteso. Ma quanto possono essere attendibili le parole di un ex mafioso che mentre era nel programma di collaborazione uccide la moglie di Nitto Santapaola? Un interrogativo che la stessa Procura si è posto.
Ma intanto il Presidente Sarpietro ha dato precise indicazioni. “Si tratta di riprendere ex novo – scrive il Giudice – tutte le dichiarazioni che sono state rese nel tempo dai collaboratori di giustizia e dai testimoni, incrociandole nuovamente ed opportunamente e rivedendole a distanza di anni con gli stessi soggetti che le hanno rassegnate, soffermandosi sui particolari che possono sembrare generici o addirittura non rilevanti, cercando soprattutto di ricostruire quello che era l’humus in cui nel periodo immediatamente precedente al grave attentato le due vittime si trovarono ad agire, sia per quanto attiene al versante lavorativo, sia per quanto attiene alle vicende personali e familiari”. L’ordinanza è datata 8 ottobre 2017. Sono già passati tre mesi. Nuovi risvolti quindi potrebbero arrivare a breve.
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17 Gennaio 2018, 13:26