11 Agosto 2011, 10:29
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Le ultime parole del sindaco di Palermo – nel comunicato in cui si chiacchiera di maggioranza coesa, di crescita, di fiducia e di ottimismo – somigliano a una risata ad Auschwitz, a un convegno sulle corde e sul nodo scorsoio nel baglio dell’impiccato, a una canzonetta stonata in casa Beethoven. In sintesi, sono un paradosso che rende più preziosa la nostalgia del silenzio. La città è una maceria sofferente e pulsante. Almeno nessuno riempia l’aria con giudizi vacui. Almeno si rispetti il dolore dei morti e dei vivi.
L’elenco dello sfacelo è facilmente approntabile. Il bubbone della Gesip è solo rimandato. La protesta dell’Amat preannuncia un futuro terribile. La comunità è sfilacciata. Il senso di appartenenza giace sepolto nella fossa comune delle vergogne della politica cittadina. Ed è vero che mancano drammaticamente una classe dirigente degna e un’opposizione decente. E’ vero che coloro che comandano non hanno né cultura, né prospettiva, né sensibilità. E’ vero che siamo ammorbati da una pletora di imprenditori gaglioffi che sfruttano la manodopera e non conoscono il fondamento etico del mercato. Ma è pur vero che le considerazioni di Diego Cammarata risuonano come l’eco di una beffa atroce.
E il primo cittadino, interrogato sulle disgraziatissime vicende di cui è corresponsabile con un’alta percentuale, non può e non potrà limitarsi a chiamare come testimone a discarica – cosa che spesso gli accade – il fantasma di Leoluca Orlando, responsabile di ogni presunta e trascorsa nequizia. Avesse pure dilapidato le risorse per centomila anni, il sindaco Orlando non merita la gogna postuma dei suoi interessati avversari. Intanto, perché è stato – con i suoi limiti che non neghiamo – un amministratore centomila volte più efficace dell’attuale inquilino pro tempre di Palazzo delle Aquile. Il sindaco Cammarata e la sua giunta hanno avuto due consiliature a disposizione. Se ammettono di non avere inciso sulla carne di Palermo, nel bene o nel male, certificano un fallimento che è sotto gli occhi di tutti.
Palermo non boccheggia per la crisi internazionale, per il cipiglio corrucciato degli dei invidiosi, per Tremonti o per Lombardo. Palermo muore di insipienza governativa locale. Abbiamo davanti a noi la trama di una tragedia politica che ha un colore preciso, anche se si tenta di celare il nocciolo scomodo: racconta il fallimento del centrodestra. Ricordiamocelo.
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11 Agosto 2011, 10:29