02 Settembre 2013, 14:11
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PALERMO – E’ stata un’omelia concentrata sul perché si debba morire per lavorare a Palermo. Una domanda che dal giorno della tragedia tormenta i familiari di Claudio Corradengo, il ragazzo di vent’anni annegato nelle acque di Scopello, a pochi metri dal secondo faraglione, mentre stava facendo pesca subacquea. Il parroco della chiesa Sacro Cuore della Noce, il quartiere in cui Claudio abitava, ha messo l’accento proprio sulle difficoltà infinite che ostacolano la ricerca di un’occupazione che garantisca sicurezza e stabilità ai giovani palermitani. La stessa che il ragazzo non riusciva a trovare nonostante i numerosi tentativi.
E così, si arrangiava con il pescato. Vendeva pesce fresco ad amici e parenti, sperando in una giornata fortunata e produttiva. Con questo obiettivo si era tuffato anche tre giorni fa, ma a trenta metri dalla costa è rimasto impigiato tra gli scogli. Claudio era in apnea, a sedici metri di profondità. E lì è rimasto da mezzogiorno alle 14, quando un diportista ha lanciato l’allarme. Il recupero del corpo era stato drammatico: quel pallone d’avvistamento aveva segnalato qualcosa di terribile, la tragica uscita in mare del ragazzo, che spesso pescava anche insieme al padre.
E stamattina, al padre Pino e alla mamma di Claudio, si è stretto un intero quartiere. In chiesa anche la giovane fidanzata del ragazzo e gli amici più cari, che hanno trasportato il feretro dello sfortunato sub da casa fino al luogo della cerimonia. “Claudio, Claudio, Claudio”, questo il coro che ha anticipato un lunghisismo appalauso dedicato al giovane, descritto dai parenti come un ragazzo dalla volontà di ferro e dal grande spirito di sacrificio. Per lui, anche striscioni con frasi affettuose e foto ricordo.
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02 Settembre 2013, 14:11