06 Giugno 2017, 05:30
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Fabrizio Ferrandelli di certo non poteva non aspettarselo. La scelta di chiudere l’intesa con il “vecchio” centrodestra, quello a trazione cuffarian-forzista, non poteva certo essere indolore. Per il giovane politico palermitano che studia da sindaco da tanti anni, gli strali degli avversari dovevano certo essere messi in conto. Così come la perdita di qualche pezzo di “società civile” sinistrorsa, per la quale il patto con la sopra citata compagnia risulta indigeribile. Ora non resta che capire se l’azzardo pagherà. E manca davvero poco per scoprirlo.
Da qui a domenica c’è da scommettere che “Fabrizio” resterà l’atipico bersaglio del fuoco incrociato dei competitor. Atipico perché di solito gli strali degli sfidanti in una competizione elettorale si concentrano gioco forza sull’uscente, su chi ha governato e deve rendere conto di quanto fatto e non fatto nel corso del suo mandato. Sul quale di regola dovrebbe appuntarsi anche l’esame severo dei media. E invece. Invece a Palermo in questa anomala campagna elettorale, il copione è stato ben diverso. Con le truppe dell’uscente Orlando e dello sfidante grillino Ugo Forello, impegnate in un sistematico fuoco incrociato all’indirizzo di Ferrandelli.
Orlando ha da tempo individuato nell’ex deputato regionale il suo vero avversario. E ha caratterizzato la sua campagna con un costante richiamo al rischio della “palude”, ossia del ritorno al potere di quel centrodestra regnante negli anni di Cammarata, del quale numerosi pezzi, tra prime linee e rincalzi, hanno trovato ospitalità sotto le insegne del sindaco pigliatutto. Forello, dal canto suo, sa bene che se c’è anche solo una speranza di andare al ballottaggio contro il Professor,e occorre prendere un voto in più di Ferrandelli.
E così il fuoco di fila degli ultimi giorni è stato costante e imperterrito. Con la sistematica evocazione dello spettro di Cuffaro, che doveva star lontano dalla politica ma con il suo attivismo dietro le quinte ha offerto una comoda arma di propaganda agli avversari del candidato che ha scelto. E poi con la rievocazione dell’inchiesta per voto di scambio politico-mafioso, quella piovuta addosso a Ferrandelli nelle ore in cui apparivano in città i suoi primi manifesti. Accuse risalenti a un lustro addietro che il giovane ex deputato regionale ha respinto, parlando con i magistrati senza avvalersi della facoltà di non rispondere, e delle quali a oggi, cinque mesi dopo, nulla è dato sapere.
Curioso, invero, che l’ex ragazzo dalla faccia pulita, quello che venne fuori dal volontariato e che allo scorso giro faceva campagna con l’antimafiosissimo duo Crocetta-Lumia, sia diventato suo malgrado il babau degli antimafiosi. Accade in questi tempi di impazzimento in cui la ruota della retorica legalitaria gira tanto veloce da disorientare. E così la campagna al veleno è finita con annunci di querele incrociate tra Forello e Ferrandelli e parole grosse, grossissime, tra quest’ultimo e Orlando, Un difetto di fair play che forse rivela l’incertezza dell’esito della sfida.
Ferrandelli, dal canto suo, ha lavorato sodo per questa campagna. Piantando le tende per mesi nelle periferie e nelle borgate, dove si deciderà la partita. Lì, nel regno dell’assistenzialismo orlandiano, il giovane candidato cerca una difficile rimonta, alla testa del suo variopinto squadrone, dove trovano posto pasionarie di sinistra come Rosi Pennino e seconde linee dell’ancien regime cuffariano. Il 37enne ex Italia dei Valori ha messo su una squadra robusta attorno a sé, a partire da quel movimento dei Coraggiosi su cui ha lavorato sodo, da bancario, negli ultimi tempi. Ma riuscire a decretare la fine della love story tra Leoluca ‘u Papà e il suo popolo non è impresa facile.
Di certo non si può rimproverare a Ferrandelli un difetto di proposta programmatica, costruita nei mesi anche grazie agli input dei territori. Interessante la sua proposta di trasformare le scuole in presidi di civiltà soprattutto nelle periferie. Coraggiosa, è il caso di dirlo, la sua apertura ai privati in una terra in cui la retorica dello statalismo dell’antimafia di potere evoca come un riflesso pavloviano spettri di malaffare ogni volta che si tenta di discostarsi dal moloch clientelare del pubblico a ogni costo. Anche se certo, il ricordo degli affari monstre della stagione cuffariana non aiuta a sdoganare il cambio di passo culturale e alimenta la diffidenza. Così come la mossa di designare un assessore massone per mettere mano ai fondi europei, scelta legittima ci mancherebbe che però ha prestato prevedibilmente il fianco alla dietrologia degli avversari.
Ma è un fatto che, malgrado le proposte, malgrado la faccia pulita e l’abilità nel parlare con il popolo (che un po’ lo fa assomigliare a Cuffaro e anche allo stesso Orlando), malgrado il suo sforzo di proporsi come una sorta di Macron panormita, malgrado anche la giovane età (doveva compiere cinque anni quando Orlando diventava sindaco con la benedizione della Democrazia cristiana dell’epoca, non esattamente un circoletto di rivoluzionari), tutto ciò malgrado è innegabile che il patto con il “vecchio” centrodestra abbia appesantito l’immagine di novità e soprattutto il profilo “ribelle” e di rottura della candidatura Ferrandelli. Resta da aspettare l’11 giugno per capire se questo prezzo è stato congruo a fronte di un apporto decisivo delle liste portate in dote dagli alleati.
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06 Giugno 2017, 05:30