14 Aprile 2018, 17:17
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Che cos’è la visione di una città? Che cosa fa? Dove la porta? Me lo chiedevo, rileggendo l’intervista del sindaco Leoluca Orlando su LiveSicilia.it. Un invito a volare alto, a perseguire il cambiamento, a non soffermarsi sulle contingenze. Un’esortazione ad accorciare la distanza tra quotidianità e, appunto, visione, intesa come elemento dinamico di sviluppo verso un futuro che si suppone migliore.
La premessa è d’obbligo: in questi giorni, la cronaca dei cassonetti strapieni e di altre emergenze è l’elemento centrale di ogni discorso ed è giusto che sia così, la città ha diritto alla normalità nei servizi essenziali. Ma, con uno sforzo di fantasia, lasciamo perdere circostanze già note e immaginiamo che questa città possa permettersi un dibattito sul cambiamento, senza affanni. Torniamo dunque a chiedercelo: di che visione avrebbe bisogno la nostra Palermo per crescere?
La risposta risiede nel passato ed è il segno di qualcosa che è venuto progressivamente a mancare. Mi spiego meglio, chiedendo aiuto alla sintesi. All’inizio del suo primo mandato, Leoluca Orlando, era un sindaco ‘visionario’ nel senso stretto del termine. Aveva un’idea del domani e di come realizzarlo. Ma il suo progetto era legato in buona sostanza alla condivisione. L’ingrediente fondamentale era riuscire a convincere tutti i palermitani della via intrapresa. Una rivoluzione potente fu quella, che animò gli anni della cosiddetta Primavera, che provocò la nascita di una piena coscienza antimafiosa, che creò il presupposto dell’impegno di tanti.
Molti, io con loro, fummo trascinati dalla passione della diversità e cominciammo a credere che Palermo avesse il diritto di affermasi a dispetto dei suoi cliché. Vennero fuori movimenti di popolo aggregati intorno a un ideale. La nostra Città per l’Uomo rappresentò una delle più riuscite forme di quella aggregazione. C’era nell’aria una narrazione convincente perché figlia di un percorso verificabile. Ricordo che con gruppi e associazioni si sperimentava un’esperienza di bilancio partecipato, segnalando emendamenti per uno strumento che negli anni si era mummificato. Ricordo che ci si riuniva ogni settimana nell’aula ‘Rostagno’ nel Comune per affiancare la nuova giunta nel percorso di cambiamento. Eravamo vicini a chi lottava sul fronte antimafia. Leoluca Orlando rappresentava l’interprete di uno snodo che annunciava tempi nuovi.
Allora cos’è quel qualcosa che manca, oggi, alla visione? Credo che sia venuto meno il suo marchio di fabbrica originario, la condivisione. Da anni, nonostante schiaccianti vittorie elettorali dovute anche alla mancanza di avversari all’altezza, mi sembra che si sia opacizzato, quando non interrotto, il dialogo tra il sindaco e Palermo. Registro una scarsa capacità di ascoltarsi e di parlarsi, un cortocircuito di comunicazioni che non siano toni di propaganda o di rassegnazione. Pezzi di città rimescolati, più che una città intera, questo è quello che vedo.
Sarebbe più utile la lungimiranza di comprendere che solo insieme potremo venire fuori dalla crisi e che un sindaco può essere l’interprete del desiderio di cambiamento, una sua componente essenziale, ma non è mai, egli stesso, il cambiamento in sé. Questa è la visione che, a mio parere, servirebbe per ricominciare a pensare Palermo. Un’idea senza nostalgia, né malinconie del passato che non servono, ma che recuperi il gusto di una storia in comune. Il futuro comincia sempre adesso.
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14 Aprile 2018, 17:17