Il gioco delle parti nel film horror del centrosinistra

Il gioco delle parti nel film horror del centrosinistra

Il dramma della coalizione. E la cancellazione di una storia.
ELEZIONI REGIONALI
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Nemmeno Dario Argento avrebbe mai saputo raggiungere simili effetti horror, se avesse girato lui il film del centrosinistra attualmente proiettato e scrutato con gli occhi di un militante. Di uno, cioè, che ancora ci credeva. Nemmeno Nanni Moretti avrebbe saputo replicare siffatte vette di sardonico surrealismo. La situazione è molto semplice. I cosiddetti progressisti siciliani hanno scelto di perdere la guerra elettorale delle regionali, senza nemmeno combattere una battaglia. Ma, a ben guardare nella storia tragicomica che si sta raccontando dalla rottura di M5S in poi, non c’è molto per cui essere sorpresi. Magari chi ha recitato la sua parte non aveva in mente di arrivare a un patatrac del genere. Tuttavia, nessuno può stupirsi del fatto che la sceneggiatura e gli attori impegnati abbiamo prodotto la tempesta perfetta, ben oltre le peggiori aspettative.

La ‘freddezza’ di Caterina Chinnici

A prescindere dalle decisioni che, in un quadro avvilente, saranno comunicate nelle prossime ore – i ragionamenti convergono per il ritiro – bisogna riconoscerlo: la candidatura di Caterina Chinnici, vincitrice delle presidenziali, non ha mai avuto il crisma della passione. Non è che uno si aspettasse un linguaggio declamatorio o crociate sulla forma del pizzetto di Musumeci, per carità… Però, qualche parolina in più la campionessa dell’opposizione avrebbe potuto pronunciarla. Invece no. Le uniche polemiche sono state rivolte verso i candidati della sua parrocchia, coinvolti in procedimenti giudiziari. Un tema che Giuseppe Conte ha utilizzato per motivare la retromarcia pentastellata. In sintesi: la prescelta del Pd, poi approdata alla rappresentanza della coalizione, ha, oggettivamente, fornito il grimaldello necessario a chi ha scardinato ogni intesa. Una colossale ingenuità. Oppure – è un retro pensiero malevolo che circola – la strategia per arrivare a una conclusione apocalittica che potesse legittimare l’eventuale passo indietro di una candidata che non sembra avere dato prova di amare alla follia il suo ruolo.

Bufera su Anthony Barbagallo

Anthony Barbagallo, segretario siciliano del Pd, è sulla graticola. Ieri, mentre la catastrofe si andava configurando, sono arrivati i primi strali. E altri ne pioveranno. “Adesso diventano chiare le ragioni della fuga alla Camera dei deputati. Barbagallo adesso si assuma la responsabilità di avere condotto una strategia deliberatamente fallimentare. È troppo tardi per gridare vergogna ai 5stelle e pensare di farla franca dopo avere praticato ritorsioni su chiunque abbia espresso dubbi su questa alleanza sgangherata e contraddittoria”. Così, Antonio Rubino, coordinatore degli orfiniani siciliani. Parole che sono apparse quasi carezzevoli, una volta che è approdato nelle redazioni il comunicato di Angelo Villari: “Quanto è avvenuto in queste ore è il risultato di una gestione da parte del segretario regionale del Pd, personalistica e in assenza di collegialità. Da giorni sono sulla stampa per una incandidabilità inesistente, priva di fondamento giuridico, senza alcuna solidarietà politica. Sono io oggi che, in questo fallimento, ritiro la mia disponibilità a candidarmi in un partito che partendo dal ‘campo largo’ e si è ridotto alla totale irrilevanza politica. Spero che anche il segretario regionale, a questo punto, abbia il coraggio di ritirare la sua candidatura al parlamento nazionale, perché la nostra comunità non capirebbe un tale premio“. In confronto, la disfida tra gli Orazi e i Curiazi era un’amichevole, con l’incasso devoluto in beneficenza. Beninteso, sono critiche legittime, rispetto al tremendo risultato.

La ‘giravolta’ di Giuseppe Conte

Tale l’hanno definita i piddini indignados: una giravolta, o un voltafaccia. Ed è subito scattata l’ermeneutica dei tradimenti, per capire chi fosse più colpevole. Proprio come quando due si lasciano e i parenti, reciprocamente, cercano capi d’accusa del malamente di turno o testimonianze d’innocenza del proprio congiunto. Claudio Fava l’ha buttata di piatto, come suole fare: “Dispiace doverlo dire ma Conte è un bugiardo. Come nella favola del lupo e dell’agnello ha continuato ad alzare la posta cercando un pretesto per rompere: prima il programma, poi gli assessorati, poi il listino… Conte aveva deciso di uscire dalla coalizione nel momento stesso in cui ha scelto di candidarsi a Palermo. Non ha avuto l’onestà politica e umana di dirlo. Ma almeno adesso faccia a meno di arrampicarsi su altri improbabili pretesti”. Una frase fortissima. Senza addentrarci nel giudizio politico e morale di Fava, è verosimile che la rottura non sia maturata né ieri, né l’altroieri. Era nell’aria da tempo, probabilmente per conteggi politici legittimi che non sono stati resi espliciti. Ecco perché – al netto di quella valutazione impietosa – il riferimento al lupo e all’agnello della favola, alla ricerca, cioè, del pretesto, può calzare. Così va in scena il film horror del centrosinistra siciliano. Con tanti saluti a chi aveva visto nella celebrazione delle primarie (nella foto di Gaspare Semprevivo, uno dei confronti) una scommessa importante. Tutto è in fumo. C’era una volta una storia politica che aveva mille peccati, ma che sapeva essere coerente. Non c’è più e chissà se ci sarà di nuovo. (Roberto Puglisi)


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