24 Maggio 2013, 21:14
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PALERMO – A cosa serve un santo? Chissà se se lo chiederanno le decine di migliaia di persone che stamattina affolleranno il Foro Italico per la beatificazione di Padre Pino Puglisi, quello che l’inevitabile superficialità di un titolo giornalistico ha affidato alla memoria del Paese come il prete “antimafia”. Oggi, ricordandolo nel giorno della sua beatificazione, ascolteremo la biografia di un prete. Di un prete invisibile, lontano dalla ribalta, innamorato del vangelo. Un prete dalle grandi orecchie, del quale tutti ricordano la capacità di ascoltare e l’attenzione per i poveri. Un prete, insomma. Un sacerdote vero, testimone di Cristo e del vangelo, per il quale l’etichetta “antimafia” è superflua e senz’altro riduttiva. Perché non era Padre Pino a essere “antimafia”. È il Vangelo che lo è. E un sacerdote, che sceglie di viverlo e testimoniarlo quel Vangelo della giustizia e dell’amore, non può che camminare su una strada diversa, e incompatibile con la mafia e con la sua cultura di morte e di sopruso. E tanto era don Pino e così lui si sarebbe definito: un prete. Un prete e basta.
L’uomo invisibile, per modestia e mansuetudine, che oggi la Chiesa palermitana e universale proclama beato condivide con il suo Modello grandi parti di biografia. L’amore per i fratelli, la mitezza, la misericordia, la capacità di ascoltare, il vivere lontano dai riflettori e dalla notorietà, la scelta di affrontare il martirio donando per amore la propria vita. Tutti elementi che agli occhi dei fedeli accomunano la figura di padre Puglisi a quella di Gesù Cristo. A questo, a ben vedere, “servono” i santi nella prospettiva cattolica. A mostrare, qui e adesso, la strada dell’imitazione di Cristo. E ogni sforzo di circoscrivere a una dimensione solo “civile”, per quanto altissima e degna di onore e rispetto, la morte di Padre Puglisi, non renderebbe giustizia alla sua storia, alla sua vita e alle sue più intime convinzioni. Perché la vita di padre Pino, come la sua morte, furono anzi tutto un atto di amore verso Dio e il Vangelo. Una scelta che portò il piccolo sacerdote siciliano a percorrere la via della solidarietà, della giustizia, del rispetto dei piccoli e degli ultimi, tutti valori che, nella loro universalità, senz’altro lo rendono patrimonio di tutti, non solo dei credenti, ma di ciascun uomo di buona volontà che li faccia propri. Sì, padre Puglisi è un patrimonio di tutti, di tutti coloro che vogliono lasciarsi interrogare dalla potente testimonianza del suo martirio. Ma don Pino, e per un giorno si metta da parte il politically correct che relega il sentimento religioso ai margini di una certa retorica, è prima di tutto, o almeno tale lui sentiva, un uomo di Dio.
La chiesa palermitana, quella stessa chiesa che per anni ha vissuto sotto l’ombra del sospetto di una convivenza ambigua col potere mafioso, ma anche la stessa chiesa dell’omelia di Sagunto del mai dimenticato cardinale Pappalardo, oggi festeggia il suo primo martire caduto per mano mafiosa. La cerimonia di beatificazione si aprirà alle 10,30 in un Foro Italico che si preannuncia gremito. Livesicilia la seguirà in diretta. Ma con la Chiesa oggi, è tutta Palermo e la Sicilia a guardare all’esempio di Don Pino e al suo “se ognuno fa qualcosa”, lezione semplice che se fatta propria dai siciliani, potrebbe realizzare il sogno di Paolo Borsellino. Quello di una terra che un giorno “sarà bellissima”.
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24 Maggio 2013, 21:14