Il governo dei Prestanome

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26 Luglio 2010, 10:42

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Questo Beppe Lumia, poveretto, non poteva essere più sfortunato. Dopo avere cavalcato per anni l’antimafia chiodata, dopo avere segnato a dito senza misericordia chiunque odorasse anche lontanamente di contiguità o collusione e dopo avere fatto squadra da Palermo a Roma con ogni magistrato d’azzardo e d’albagia, eccolo qui rinchiuso in una stanza beffarda e malinconica, come quella che Landolfo, nell’Enrico IV di Pirandello, mostra al giovane Bertoldo. Lui credeva che fosse la stanza del trono, della regalità e del potere; che fosse una wunderkammer dove il Pd potesse finalmente coltivare i propri sogni di governo per dare ai siciliani una Sicilia felix. Invece era la stanza della tortura. Una stanza con quattro porte tutte uguali e con quattro pareti, umide di veleni e di cinismo, sulle quali puoi solo sbattere la testa. E disperarti.

Povero Lumia. Bussa alla porta di levante, quella del fraternissimo amico Gianfranco Miccichè, e si ritrova in un labirinto solforoso dove troneggia nientemeno che Marcello Dell’Utri, un drago dalle sette teste mafiose che ancora domina e governa i destini berlusconiani: “Orrore, miei compagni, orrore”. Poi bussa alla porta opposta, quella di ponente, a cercare Raffaele Lombardo, l’uomo che straparla di riforme e rivoluzione, e lo trova intrappolato in girone infernale del quale non si conosce né l’inizio né la fine. Si intravedono solo le ombre sinistre di tremila pagine scritte dai carabinieri dei Ros e gli atti tenebrosi di un’inchiesta per mafia alla quale i magistrati di Catania hanno impresso la cadenza ossessiva e tambureggiante di un martirio.

Povero Lumia. Quale altra porta dovrà aprire per trovare la formula che gli consenta di conquistare il cuore della Regione e di raddrizzare le gambe al cane della sanità, della formazione, dei rigassificatori o dei nuovi inceneritori?

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La terza porta – quella dell’Udc, ripetutamente accarezzata dal segretario del Pd, Giuseppe Lupo – è meglio non aprirla. Il primo quadro mostra il sorrisetto civettuolo e rassicurante di Saverio Romano ma è solo il volto di un inganno: perché, dietro il plenipotenziario di Casini in Sicilia, si snoda una processione mesta e rancorosa: c’è la confraternita dei cuffariani che, da quasi due anni, cerca il tesoro dell’arca perduta; e c’è soprattutto la confraternita di Totò Cardinale, Nino Papania e Francantonio Genovese, smaniosi di celebrare al più presto la grande festa del perdono democristiano. Povero Lumia. Era l’eroe antimafia militante, quella dei duri e puri, ed è finito in una caverna dove ogni visione è un incubo, dove ogni scena è una galleria di spettri. Chi lo salverà?

Dietro la quarta porta, quella di tramontana, c’è nascosta la mappa segreta di un percorso, tanto insidioso quanto salvifico, disegnato da tutti coloro che politicamente non possono più metterci la faccia. La mappa comprende un solo nome: Massimo Russo, oggi assessore alla Sanità ma candidato a diventare vice presidente della Regione al solo scopo di sostituire Lombardo quando l’inchiesta della procura di Catania costringerà il Governatore a salire e scendere le scale dei tribunali e a fare i conti con il proprio passato. “Si ricomincia da Russo”, titolava pochi giorni fa Repubblica, raccogliendo gli umori delle retrobotteghe lombardiane. Russo – che da magistrato antimafia non ha avuto alcun problema a governare su delega di un inquisito per mafia – si proporrà, va da sé, come garante di legalità e trasparenza, di rigore e intransigenza. E a quel punto Lumia potrebbe anche entrare nel nuovo governo. Ma l’orrore non finirebbe. Perché il Lombardo quater, con Russo vicepresidente, non sarebbe né il governo dei tecnici né quello dei competenti, né il governo delle riforme né quello dell’emergenza. Sarebbe semplicemente il governo del Prestanome. Povera Sicilia.

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26 Luglio 2010, 10:42

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