16 Settembre 2019, 06:06
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“Serve un nuovo fronte politico di rottura e di vera discontinuità con i governi siciliani degli ultimi vent’anni”. Il presidente della commissione regionale Antimafia Claudio Fava osserva con interesse la nuova alleanza tra Cinquestelle e centrosinistra. E guarda già avanti: “Non basta essere opposizione e fare opposizione, bisogna lavorare alla costruzione di una alternativa”.
Intanto, presidente, qualcosa è cambiato. L’Ars aveva chiuso i battenti quando il governo nazionale era ‘gialloverde’. Ora il quadro si è capovolto. Come giudica questa novità? E secondo lei cosa cambia anche in Sicilia, a Sala d’Ercole?
“Credo che adesso l’opposizione sia chiamata a un supplemento di responsabilità. Non cambia nulla, infatti, sul piano dei numeri: opposizione eravamo e opposizione siamo. Ma adesso si può pensare a una opposizione che non sia una somma di monadi, ma che possa davvero mettere in luce le debolezze di questo governo regionale, entrando nel merito delle cose. Con un obiettivo più ambizioso”.
Quale?
“Quello di costruire una alternativa di governo. Smettendo di lavorare per ‘quote di vanità’ personali”.
Insomma, mi pare di capire che per lei una maggiore sintonia con i Cinquestelle sia auspicabile. Ma quanto è concretamente possibile?
“Diventa possibile se non si ragiona solo di formule, bensì di contenuti. Bisogna entrare nel merito dell’azione politica, e verificare a quel punto se si può lavorare a una sfida di governo, anche alla Regione”.
In effetti è un tema caldo in queste ore anche altrove, in vista delle prossime elezioni regionali nella Penisola. In Sicilia però si vota tra tre anni.
“Ma qui l’operazione potrebbe essere facilitata da altri elementi. Il primo: queste forze politiche sono tutte all’opposizione e lo sono dall’inizio della legislatura. Il secondo: questo centrodestra è asfittico, inconcludente. E il governo non governa”.
E la maggioranza è attraversata dalle solite tensioni, anche in occasione dell’ultimo ddl giunto a Palazzo dei Normanni, il ‘maxi collegato’.
“Ma non può che essere così. La cosiddetta maggioranza non può essere solo la somma di voti d’aula. Dovrebbe essere invece un contesto politico, una visione comune tra i gruppi che la compongono. E gli ultimi eventi secondo me non l’hanno neanche favorita…”.
Si riferisce alla nascita del nuovo governo nazionale?
“Sì, e in particolare al fatto che non si sia andati al voto: sarebbe stato, per questo centrodestra, uno sfogo, avrebbe rinvigorito i partiti. Ora non solo non si è andati a elezioni, ma la maggioranza ha anche perso quel canale di intesa col governo nazionale, rappresentato dalla destra di Salvini”.
Lei quindi ritiene che questa condizione emergerà chiaramente all’Ars.
“Musumeci è ormai con le spalle al muro. Non credo sia più in grado di portare in aula una legge senza esporsi al fuoco di fila. E non mi riferisco a quello delle opposizioni, ma a quello della sua maggioranza”.
E quindi che si fa? Come si andrà avanti in questa legislatura?
“Si dovrebbe intanto prendere atto della realtà: questo governo è al capolinea. E la cosa curiosa è che il capolinea coincida col punto di partenza. Questo governo è un museo di cimeli. Lo dimostra anche quell’investimento milionario sui borghi costruiti nel Ventennio: magari si penserà di reinserire anche il sabato fascista e le divise da avanguardisti… Questo è un governo buono a far trascorrere un paio d’ore la domenica pomeriggio, per il resto è imbarazzante”.
Per restare in tema di spese: il maxiemendamento che ha sostituito il “collegato dei collegati” si è rivelato ancora una volta come un elenco di singoli finanziamenti e contributi. Possibile che la Sicilia non riesca a uscire dall’incantesimo della ‘Tabella h’?
“Temo che questo sia il frutto di una cultura politica malata. E del resto ci è stato anche spiegato in aula dallo stesso presidente Musumeci, di fronte alla richiesta di un contributo per il teatro di un paese. Ci ha detto che è normale che un deputato difenda gli interessi del proprio territorio. Ma il punto è proprio questo: così la Sicilia resta prigioniera di una idea bottegaia della politica. Lo stesso è avvenuto nelle ore in cui è nato il nuovo governo nazionale”.
Vale a dire?
“Mi riferisco alla polemica sulla presenza di ministri meridionali. Corbellerie. Come se il punto fosse quello, come se avere un numero maggiore di ministri del Sud risolvesse il problema. Io mi auguro che ci siano ministri anche piemontesi o lombardi che comprendano l’importanza degli investimenti nel Meridione”.
Tornando alla ‘Tabella h’, si parla di contributi e prebende, mentre filtrano notizie su un preoccupante stato dei conti regionali. Non è una contraddizione anche questa?
“Vede, quando la politica clientelare veniva fatta nell’era in cui c’erano molti soldi da spendere, i clienti erano tanti. Adesso i soldi sono pochi e i buchi tanti, così ora queste clientele sono persino tristi, malinconiche. Sono gli ultimi spiccioli da spendere, mentre la zattera della Medusa continua a perdere pezzi. Per questo serve una presa di coscienza, una novità anche sul piano politico, una rottura col passato. Un esempio è emerso nel corso delle nostre ultime audizioni in commissione antimafia”.
Si riferisce al caso del censimento degli immobili?
“Sì. Quello che ci pare importante non è tanto cosa si stia facendo oggi, ma come sia nato questo caso. Viene il dubbio che non si tratti solo di un fatto di ‘mala gestio’ o di ingenuità politica. Quei palazzi sono stati svenduti a un prezzo ridicolmente basso e presi in affitto a un prezzo ridicolmente alto. Continueremo ad approfondire la questione, la figura di questo immobiliarista di Pinerolo (Ezio Bigotti), e partiremo da chi la gestì in origine: convocheremo in Commissione antimafia l’ex presidente della Regione Salvatore Cuffaro e l’ex Ragioniere generale Enzo Emanuele”.
Perché la considera una vicenda esemplare?
“Perché quando parlo di una novità politica, penso a un fronte che rappresenti una vera rottura e discontinuità con la Regione degli ultimi vent’anni, non solo degli ultimi due. Anche con i governi espressi dalla sinistra, per intenderci. E non basta una formula: serve un lavoro appassionato, orgoglioso delle prerogative della Sicilia, responsabile”.
Lei in passato non ha nascosto di essere pronto a correre per la presidenza, nel caso in cui le condizioni politiche la convincessero. È sempre di questa idea?
“Io le posso dire che se l’intenzione è quella di lavorare a una alternativa di questo genere, mi auguro che ciascuno faccia la propria parte. Io farò certamente la mia. Del resto, sono tornato in Sicilia e ho deciso di restarci, per dare il mio contributo”.
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